Gli Optional
A.A.A.Altri articoli di produzione propria

TESTATA:
Repubblica
DATA:
3/3/1997
PAGINA:
26
SEZIONE:
CULTURA
OCCHIELLO:
IL LUNEDI' DELL' ARTE Sotto accusa la mostra di Palazzo Grassi

TITOLO:
PAESTUM ARCHEOLOGI IN RIVOLTA

SOMMARIO:
Professori e soprintendenti bocciano in un convegno l' esposizione
sulla Magna Grecia: 'Studi vecchi, allestimento confuso: insomma
un' occasione mancata'

AUTORE:
Sergio Frau
TESTO:
Paestum L' allestimento della mostra I Greci d' Occidente firmato
Gae Aulenti? "Un guazzabuglio di oggetti alla rinfusa, sistemati
senza amore, né cultura, né rispetto" (Emanuele Greco, ordinario
di Archeologia della Magna Grecia all' Orientale di Napoli). Il
catalogo? "Dieci chili, 800 pagine che, però, presentano studi e
ricerche di 40 anni fa: un' impostazione all' antica che non tiene
conto della vita della gente, dei contesti, delle continue
commistioni di quei primi secoli della civiltà" ( Lorenzo
Braccesi, docente di Storia greca a Padova). L' operazione Magna
Grecia? "Un' esperienza frustrante, una grande occasione mancata"
(un po' tutti, in coro). Altro che tavola rotonda... E' stata una
rivolta questa di Paestum: il Sapere (con le sue esigenze e i suoi
rigori) contro i Soldi (con le sue regole e i suoi interessi).
Potenza della Magna Grecia: ancora una volta ha mischiato gente
diversa. Non ci fosse stata, cosa ci avrebbe fatto qui, nella
piana del Sele, in un pomeriggio di fine febbraio, un top manager
Fiat come Paolo Viti in mezzo a 50 statali 50, ordinari di storia
greca, soprintendenti, archeologi?... Lui, Viti, era qui per
lavoro: come direttore di Palazzo Grassi non poteva certo
declinare l' invito a un convegno come questo, intitolato "I Greci
in occidente: bilancio di un anno".
Loro, gli statali, erano arrivati da Lecce, Napoli, Reggio
Calabria, Matera... ma per passione. La Magna Grecia è la loro
vita, il rapporto con i privati - soprattutto ora che il ministro
Veltroni ha appena firmato con la Confindustria un patto di
collaborazione - il futuro prossimo, la grande incognita: un
rapporto a rischio che, certo, invita a prendere qualche
precauzione. Manager spiccio, Paolo Viti, mica perde tempo a
ringraziare - ora che ce li ha tutti là davanti - gli uomini dello
Stato che si sono dati da fare per mandargli su a Palazzo Grassi,
tra mille ansie, i loro tesori d' archeologia. "Qual è il tema
dell' incontro?" si deve essere chiesto.
"Bilancio di un anno" si deve essere risposto. E così lui dritto
dritto vola alle cifre: "In 260 giorni 538.000 visitatori - media
giornaliera: 2.072 - cataloghi venduti 32.874, poster 11.000,
guidine 113.000, video 6.037... Non abbastanza, però: lo sbilancio
è stato di tre miliardi secchi. Che, comunque, finendo nei nostri
costi rappresentanza, diventano una cifra infinitesimale e non
crea problemi...". Tra una cifra e l' altra, Viti trova modo di
infilar dentro che l' accordo fu di vertice tra Fiat e l' allora
ministro dei Beni culturali Ronchey, che ha avuto i complimenti
del British e del Metropolitan, che a Salvatore Settis del Getty è
piaciuto tutto talmente tanto che ha voluto presentare lì i suoi
Greci pubblicati con Einaudi... Finito il suo report, tutto il
resto per lui deve essere stato solo noia e fastidio: incastrato
lì, per più di tre ore, ha dovuto ascoltare dei rompiscatole che
spaccavano il capello in due. Come Angela Pontrandolfo, ordinaria
di Archeologia a Salerno, che rimpiangeva la grande tradizione
della ricerca nel Mezzogiorno e i convegni dove chi scavava
fondeva i nuovi dati appena raccolti con le scoperte degli
storici. O come Francesco D' Andria, anche lui in cattedra ma a
Lecce - dove con nuovissime tecniche ( informatica più raggi X più
impronte digitali) sta creando un anagrafe degli antichi artigiani
- che se ne esce con "l' ellenocentrismo scorretto della mostra",
e segnala tutte quelle "interazioni tra i popoli che allora
avvenivano ma che a Venezia nessuno ha raccontato". Povero Viti...
Neppure quando è toccato al vicedirettore dell' Istituto germanico
di archeologia di Roma, il professor Dieter Mertens (che pure alla
mostra ha partecipato come consulente), si è potuto rianimare:
altre giaculatorie da studioso! "Stiamo parlando di una cosa
davvero spinosa" diceva Mertens "non vi sono dubbi: la mostra non
è affatto omogenea". Poi, da vero signore, senza collegare una
frase con l' altra: "Tutti sanno che con l' Aulenti ho avuto un
rapporto molto, molto conflittuale. L' 80 per cento di quell'
atlante che scorreva a nastro per 500 metri l' ho dovuto riempire
in fretta e furia, lavorando giorno e notte, all' ultimo momento.
Quello sfondo era considerato solo una decorazione. Ma noi siamo
studiosi! Siamo noi che abbiamo sbagliato: non siamo riusciti a
fare un comitato vero, che proteggesse la qualità dell' insieme".
E il titolo? Almeno il titolo che è piaciuto a tutta la stampa?
No! Nemmeno quello viene promosso: ecco Lorenzo Braccesi che,
limpido limpido, dice:" Avrebbe anche potuto essere giusto...
Peccato sia finito su una mostra sbagliata: proprio a Torcello i
Micenei hanno lasciato i loro segni ma la mostra non ne accenna
neppure. E non si nomina l' Iberia, Marsiglia, l' Adriatico con
Ancona dove, ancora in età imperiale, si continuava a parlar
greco. Non è forse Occidente quello? Quando lo diremo ai ragazzi
cos' erano davvero le colonie greche?". Figurarsi il top manager,
la noia. Certo, per sopravvivere deve essersi concentrato sul
planing delle sue iniziative future ( I fiamminghi del '900 che
gli si aprono il 16 marzo), e soprattutto sul modo di non trovarsi
mai più tra gli ingranaggi gente così rognosa. E chissà, poi, se
li ha ascoltati quei lamenti per la mancata informazione sulle
altre iniziative nel Sud. O se ha provato un po' di solidarietà
verso Stefano De Caro, soprintendente archeologico di Napoli che è
alla sua prima volta: proprio in questi giorni, per far su 35
milioni che lo aiutano a mandare avanti il Museo, dà via per una
sera, con la morte nel cuore, il salone bello dell' Orologio dove
si terrà un party per assicurativi. Quei soldi gli servono
davvero: anche perché, proprio nell' anno della Magna Grecia, a
lui hanno tagliato i fondi e andare avanti si fa sempre più duro:
"Ci chiedono di fare i manager, ma non ce ne danno gli strumenti:
se io faccio pubblicità a una mia mostra finisco alla Corte dei
Conti; se raddoppio i visitatori non ho, poi, i soldi per far
pulire i bagni. Quegli incassi raddoppiati, infatti, non tornano
al museo ma finiscono nel calderone dello Stato...". Parole amare,
sentite, risentite, deluse. E pensare che, a microfoni accesi,
tutti si sono trattenuti un po' : in sala c' era l' ottantaseienne
Giovanni Pugliese Carratelli, il grande vecchio, l' allievo di
Benedetto Croce, l' uomo che - da sempre - sa tutto e si diverte a
giocarci, l' unico che riesce a incutere riverenza a questa platea
di cinquantenni polemici, duri, ma poi - sotto sotto - talmente
edipici o educati da non trovare il coraggio di dirgli che è
proprio lui il vero accusato: lui che, come curatore scelto da
Palazzo Grassi, in mancanza di vere protezioni fornite dal
ministero, avrebbe dovuto garantire la serietà della
manifestazione. Così, grazie a frasi riverenti ma in codice (tipo:
"Certo di questa mostra si può dire che è stata proprio la mostra
di Giovanni Pugliese Carratelli", che decodificata poi, a
microfoni spenti, avrebbe voluto comunicare: a) l' età media dei
partecipanti al catalogo è 70 anni; b) sia lì che in mostra c' è
una visione troppo antiquata della storia; c) l' esposizione non è
degna della nostra ricerca...), il decano dell' antichistica
italiana se l' è potuta cavare con il suo solito humour : "Vi sono
grato per le critiche: ne prendo nota per un' altra mostra che,
prima o poi, certo faremo". E Viti, di rincalzo, efficiente: "Se
si aspetta di fare meglio, alla fine non si fa mai niente. Vorrà
dire che a primavera terremo un convegno a Palazzo Grassi. Il
tema? Come si organizza una mostra archeologica, naturalmente".
Per lui l' incontro era così, finalmente, finito. L' autista lo
aspettava fuori con il motore acceso. Niente saluti, niente
ringraziamenti - è tardi! è tardi! - c' è uno stile in queste
cose... Non gli fosse sfuggita sulla porta quella spazientita
domanda ("Chi è ora quest' altro che ricomincia? Che vuole,
ancora?") all' indirizzo del professor D' Andria che stava
portando con foga la discussione sui collegamenti auspicabili tra
ministero dei Beni Culturali e università, sulle protezioni che lo
Stato dovrebbe escogitare per i suoi uomini, sarebbe stato davvero
perfetto. Se ne è andato lo stesso. Ma non ha perso nulla che
potesse interessarlo davvero... Tutti problemi da intellettuali
della Magna Grecia, manie da studiosi: l' affresco della Tomba del
tuffatore che - crepato e delicato com' è - i soprintendenti non
avrebbero voluto far viaggiare ma che poi è finito ugualmente in
mostra a Palazzo Grassi; l' utilità delle mostre ( Bruno D'
Agostino: "Devono dare certezze, anche se sbagliate? O piuttosto
suscitare nuove curiosità? Aprire le teste?")... Insomma, roba
vecchia, già detta: non erano forse Bernard Berenson e Longhi che,
già mezzo secolo fa, rompevano le scatole con i rischi brutti
dell' esposizionite acuta?
------------------

 

naviga...