Gli Optional
A.A.A.Altri articoli di produzione propria
TESTATA:
REPUBBLICA
DATA:
19/1/1998
PAGINA:
21
SEZIONE:
CULTURA
OCCHIELLO:
LE VIE DEGLI SCHIAVI/ 1, La Francia celebra la fine della tratta
dei neri
TITOLO:
Requiem per uno schiavo
SOMMARIO:
Il 1998 sarà l' anno dedicato per volontà dell'
Unesco alla grande
vergogna costituita dal secolare mercato di uomini. In molti
si
aspettano che il Papa nel suo soggiorno a Cuba gran crocevia
dei
negrieri intervenga su questo argomento
AUTORE:
di SERGIO FRAU
TESTO:
Parigi - Parole sante: "Invece di capelli in testa hanno
una
lanugine crespa e corta come quella dei capri. Gli occhi sono
piccoli e conformi a quelli dei porci. Hanno ciglia basse, il
naso
un poco elevato e schiacciato, labbra grosse a segno che sembrano
gonfie come se avessero ricevuto delle percosse. Le donne hanno
poppe lunghe e pendenti; e i piedi di queste, che portano sempre
nudi e scalzi, sono assai piccoli: insomma per dirla in una
parola
rassembrano vere scimmie...". Scriveva tutto ciò,
in nome di Dio,
padre Matteo Ripa. Correva l' anno del Signore 1704, e il
missionario lugano non era l' unico a raccontare così
i neri. Di
fatto, centinaia di descrizioni del genere dicevano all'' Europa:
"Tranquilli, fedeli, quelli che marchiamo e deportiamo
sui velieri
dai nomi beneauguranti - come lo Jesus, l' Ange, la Concorde
-
mica sono uomini: sono bestie!". Teologi importanti, poi,
già dal
Cinquecento, si erano messi d'' impegno a spiegare al mondo
la
fortuna di quegli esseri salvati dal loro paganesimo per entrare
tra i cristiani. Almeno venti milioni di africani arrivarono
da
schiavi, battezzati, nel Nuovo Mondo. Ciascuno di loro era il
prodotto finito, netto, concentrato e ben scelto di un
procedimento che contemplava un certo spreco: dalla cattura
nei
loro villaggi all'' arrivo ai campi d'' America, dei Caraibi,
delle Antille, per ogni "pezzo d' India" (come venivano
definiti
gli esemplari migliori, da esportare) almeno altri quattro o
cinque (ma, probabilmente, dieci) neri erano morti. Un disastro
che coinvolse almeno cento, duecento milioni di persone. Una
bomba
sull' Africa, i suoi regni e i suoi antichi equilibri di clan
ed
etnie. Lo farà, il Papa? Pronuncerà quelle parole
di rimorso che
la Chiesa dovrebbe - e ormai potrebbe - dire? Spiegherà
come e
perché i suoi predecessori dal trono di Pietro e i suoi
gesuiti
dalle missioni benedissero o ignorarono l'' olocausto dei neri
d'
Africa? Farà capire al mondo che pur di dare una giustificazione
allo schiavismo - e a tutti i soldi che faceva girare - nacque
allora quel razzismo moderno le cui metastasi avvelenano oggi
la
vita di tutti i popoli di colore? Certo, adesso che arriva a
Cuba,
se Giovanni Paolo II lo facesse - magari con la stessa foga
con
cui chiede, rivoluzionario, che al mondo povero vengano rimessi
i
debiti dall' Internazionale dei Paesi ricchi - per i neri del
mondo sarebbe un sole nuovo. Per lui, Wojtyla, sarebbe il posto
e
il momento giusto. Il posto: Cuba. Del triangolo della tratta
-
merci, armi e paccottiglia imbarcate in Europa; lo scambio del
carico al posto di uomini sulle coste d' Africa; la loro vendita
sui mercati del Nuovo Mondo in cambio di zucchero, caffè,
cotone;
il ritorno ai posti di partenza, dieci volte più ricchi
- l' isola
di Fidel fu uno dei vertici d' oro. Fon del Dahomey, Youruba
del
Benin, Bantù del Regno di Congo, Fanti del Ghana furono
trapiantati lì insieme alla canna da zucchero che regalava
profitti immensi. E fu proprio Cuba (insieme al Brasile) una
delle
ultime roccaforti dello schiavismo che vi sparì davvero
soltanto
nel 1886. Il momento: questo 1998. Se, neppure dopo il concertone
con Bob Dylan & C. si può pretendere che Sua Santità
abbia
presente l'' imminente arrivo nelle sale di tutto il mondo di
Amistad (il film che Steven Spielberg ha dedicato allo
schiavismo), si può invece ipotizzare che si ricordi
di una
ricorrenza vera, seria, bella: il 23 aprile prossimo saranno
150
anni dall' abolizione della schiavitù nelle Colonie di
Francia. La
data ha una sua magia: serve a far quagliare tutte insieme le
iniziative che, già da qualche anno, rinvangano tra le
radici
della più grande tragedia umana per ampiezza e durata.
All''
Unesco, all'' ultimo piano di rue de Miollis, nella sezione
Progetti culturali, Doudou Diéne e il suo staff stanno
accelerando: dopo aver lanciato anni fa "La via della seta",
ora
già da tre anni lavorano sodo a un progetto ancora più
ambizioso e
coinvolgente: "Le vie dello Schiavismo", un colossale
piano di
salvaguardia e restauro dei luoghi di memoria della Tratta -
dai
forti europei sulle coste d' Africa dove i neri venivano stipati
prima dell' imbarco, alle piazze di Zanzibar, dei Caraibi o
delle
Antille dove se ne faceva mercato, dagli archivi e dai porti
della
Tratta alle feste dove Africa e America si fondono. Ascoltare
Doudou Diéne parlare del genocidio dei neri fa un certo
effetto.
Sarà perché è del Senegal, zona di caccia
all' uomo negli anni
negrieri; o perché durante il racconto d' improvviso
abbassa la
voce per proseguire con toni da fiaba, profondi di diaframma;
o
perché, spiegate da lui le cose sembrano sempre appena
avvenute...
fatto sta che sentirgli dire che Cuba, ora, possiede un gigantesco
monumento allo schiavo, e che il papa non potrà non vederlo
perché
fronteggia dalla collina a fianco una delle chiese più
importanti
dell' isola, e che tutti, lì, sperano in una sua parola
sul
sacrificio di una razza... beh, tutto ciò ha una sua
convincente
suggestione. O sarà forse, anche, perché spesso
Monsieur Diéne ti
spiazza, ritmando ad antichi dolori, frenesie da manager e
ottimismi inaspettati, come quando dice allegro: "Sembra
un
paradosso eppure quella barbarie ha poi creato una civiltà
nuova:
musica, religione, l' arte di lavorare il ferro... c' è
tutta una
cultura - quella africana prima della Tratta e quella dei Neri
della Diaspora - ancora non analizzata come si deve. è
la nuova
frontiera per gli storici del futuro". E che il futuro
sia già
iniziato lo dimostra la raffica di iniziative sul tema "schiavitù"
che mezzo mondo ha messo in cantiere per quest' anno. C' è
Nantes
che manda in tournée per il mondo la sua esposizione
("Gli anni
della memoria") mostrando, con un' autocritica sentita
e spietata,
quante delle sue fortune e delle dimore che la fanno bella siano
state tirate su impastando liberismo d' antan e sangue nero.
Con
tanto di cifre e tabelle: delle spedizioni francesi tra il 1707
e
il 1847 il 45,5 per cento era targato Nantes, l' 11,8 Bordeaux
alla pari con Le Havre, l' 11,2 La Rochelle... e molte altre
cifre
ancora verranno fuori in febbraio, a Copenaghen da un summit
dedicato ai segreti degli archivi europei della Tratta. E c'
è l'
Inghilterra che, dopo avere attivato già da qualche anno
il museo
di Liverpool (fino al secolo scorso città negriera di
grande
efficienza, oggi motore di ricerche e iniziative), si è
già detta
d' accordo sull' iniziativa Unesco di istituire, dal 23 agosto
di
quest' anno e per sempre, "La giornata internazionale in
ricordo
dello schiavismo e della sua abolizione". E ci sono altri
paesi -
come Spagna, Portogallo, Olanda e Brasile - che si stanno dando
un
gran da fare frugando negli annuari portuali ed estraendone
antiche vergogne. Una per tutte: gli assicuratori olandesi che
facevano affari d' oro prevedendo una mortalità del 18
per cento
per ogni viaggio; se poi i morti erano di più il guadagno
degli
armatori si assottigliava ma era difficile che sparisse del
tutto.
Il cartellone '98 continua: e prevede, accanto a zoommate di
studiosi (come "Filosofi e giuristi negli anni della Tratta"
a
Tolosa, o "La diaspora africana e la sua influenza sull'
America
Latina" a Rio), anche qualche appuntamento decisamente
scomodo.
Tipo quello di Gorée, l' isoletta davanti Dakar in Senegal,
luogo-
simbolo della deportazione dove storici di tutti i paesi in
autunno affronteranno il tema "Ebraismo e negritudine",
sul tema
del genocidio e della deportazione razziale. O quello in programma
a Città del Capo, in cui si farà il punto sul
ruolo dell' Islam,
che in quanto a traffico di neri la sapeva davvero lunga. Perfino
la Norvegia, che ha rintracciato sui suoi fondali una fregata
negriera (la Fredensborg), sta lavorandoci su: ne ha ricostruito
la storia, ne ha fatto realizzare da uno storico il soggetto
per
un poemetto che gira nelle scuole, ne fa mostre, discussioni...
Se
quindi anche il papa partecipasse a modo suo all' Anno del Ricordo
- oltrepassando la cauta soglia degli accenni fatti in Africa
qualche anno fa - sarebbe davvero festa grande: un risarcimento
a
una civiltà annientata, il restauro di un orgoglio rubato,
un
altolà al razzismo che monta (l' Europa ha appena scoperto
con un
colossale sondaggio che due suoi cittadini su tre sono razzisti).
E mentre all' Unesco lo staff di Monsieur Diéne tiene
le dita
incrociate, molti - soprattutto fra i missionari che con l'
Africa
hanno a che fare - si aspettano anche che infranga anche l'
ultimo
grande tabù: e che, davanti al mondo, chieda rispetto
- come ha
già fatto per l' Islam e l' Ebraismo - per l' animismo
afro-americano, il terribile vudù, la santeria cubana,
la fede dei
padri, l' unica ricchezza che i deportati riuscirono a tenere
con
sé nel buio di quelle puzzolenti stive dove, incatenati
l' un l'
altro, stipati come oggetti fino talvolta a soffocare, viaggiavano
per mesi, verso la loro nuova vita da battezzati. Vudù
e
schiavismo hanno una città sacra in comune: Ouidah, in
Benin, l'
antico regno di Dahomey. Da lì, dal golfo di Guinea che
fronteggiava il Brasile, in quella che tutti chiamavano la Costa
degli Schiavi, comincerà questo viaggio.
(1. Continua)
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