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TESTATA:
REPUBBLICA
DATA:
28/3/1998
PAGINA:
35
SEZIONE:
CULTURA
TITOLO:
Faccia a faccia con i romani antichi
SOMMARIO:
Si apre oggi a Rimini in occasione del Meeting per l' amicizia dei
popoli una grande mostra dedicata alla "romana pictura" che per la
prima volta riunisce reperti pompeiani e frammenti conservati in
Vaticano. E' l' occasione giusta per dare un opportuno contesto
all' affresco scoperto da poco sul colle Oppio
AUTORE:
di SERGIO FRAU
TESTO:
Rimini - Una mostra così importante e ricca sulla pittura romana
antica non si era mai vista: non si era mai fatta! Certo, se i
Tolomei, giù ad Alessandria, non avessero avuto la passione dell'
architettura... e se Cleopatra non fosse stata così bella... e se
l' ultimo dei re di Pergamo - Attalo III, nel 133 - non avesse
lasciato in eredità la sua città a Roma... la storia dell' arte
avrebbe avuto tutt' altre forme e tutt' altri colori da quelli che
questa stupefacente esposizione fa vedere nei 1600 metri quadri
del palazzo dell' Arengo di Rimini. Ci fu un tempo - quei tre
secoli prima di Cristo - in cui il Villaggio, almeno per i ricchi,
fu davvero globale. Saettava per il Mediterraneo - con le navi del
grano d' Egitto e delle mille merci - lo stil novo dell'
ellenismo. E le sue statue. E le sue idee. E i cartoni che
facevano più facile fabbricare il bello: bastava ricalcare,
copiare. Per secoli, in quei secoli, Pergamo e Alessandria fanno a
gara ad abbellirsi con marmi, quadri, meraviglie. Roma la rozza
vorrebbe seguire quella moda. Ma marmi così strani non li ha
ancora, e neppure pittori in grado di lavorare su tavola come
sapevano fare i greci o gli egiziani del Fayum... E quelli che ha,
poi, costano talmente cari che in pochi possono permetterseli. E
allora? Allora inventa l' arte di arrangiarsi: si mette a imitare
sulle sue pareti - con squadre di imbianchini che, però, la sanno
lunga - le magie del marmo, le venature delle pietre colorate, le
profondità degli stucchi, i fasti dei soffitti a cassettoni, gli
squarci delle architetture che muovevano i palazzi dell'
ellenismo. Roba da re. Ma tutto falso, tutto dipinto: il trionfo
del trompe l' oeil. E' l' inizio di quel che di pittorico c' è
stato nei duemila anni che ci separano da allora, il vero dna
dell' arte. E' anche l' inizio di Romana pictura che apre oggi al
pubblico per chiudere a fine agosto, in concomitanza con il
Meeting per l' amicizia dei popoli, la kermesse di Comunione e
liberazione che ha finanziato la mostra con un miliardo e duecento
milioni. Qui, con trecento pezzi - la maggior parte sono affreschi
arrivati da Pompei e da musei, magazzini, depositi romani,
napoletani, vaticani e greci - il colore fa festa ed è festa
grande, prima profana, poi sacra. Fin da subito, infatti, dopo
quei primi geometrici e quasi imbarazzati fondali che Pompei ha
restituito meravigliosamente conservati, la mostra fa vedere come
i verdi, i rossi, gli ocra, i gialli di mille tonalità si
scatenano dai loro rigori e cominciano a reinventarsi il mondo
sulle pareti. Veneri, pugili, Ercoli, ma anche paesaggi,
architetture fantastiche, giardini, nature morte, satiri nudi e
menadi spudorate... Strana roba davvero, da quel momento in poi,
rende allegre le ville pompeiane... Ci hanno pensato gli
archeologi del 900 a far ordine in quella splendida baraonda,
selezionandola in quattro stili che la mostra presenta: dopo il
primo (la miseria e nobiltà dei finti marmi), il secondo con
paesaggi e architetture dove compare talvolta, timidamente, la
figura umana; il terzo stile poi con l' uomo che invece si fa mito
e protagonista dell' intera pittura; il quarto che mischia tutto e
della parete affrescata fa gran teatro, fondale dipinto, quasi
rappresentazione dove matrone e padroni di casa hanno un loro
ruolo. E c' è una sala di ritratti che ce li fa conoscere da
vicino e guardare negli occhi quegli antichi romani dal reddito
alto: sono tutti spezzoni di affreschi. Molti di loro hanno fatto
da copertina sui manuali di liceo. Tre ritratti del Fayum, lì
dirimpetto, contendono loro la scena. Uno (assicurato per 750
milioni e restaurato per l' occasione) è di Federico Zeri, che ha
benedettoa modo suo la mostra: "Che meraviglia! Ma che rischio far
viaggiare queste reliquie!". Le pitture che coloravano di stupore
l' intero mondo romano sorprendono anche qui, in mostra e persino
nel catalogone Electa che l' accompagna. Partita da quei quattro
stili iniziali la fantasia va a caccia di soggetti. Ne cattura di
nuovi e strani. E' un portento il grande acquario trovato al porto
fluviale di Roma: aragoste, murene e pesci monumentali con il loro
fondo azzurro acqua, facevano bella una sala di rappresentanza di
qualche personaggione o di un ufficio pubblico. E sembrano veri i
cibi che gli ospiti del triclinio vedevano dipinti tutt' intorno a
loro a giocare di rimando con le golosità reali che il desco
forniva davvero. E gli amorini che ne fanno di tutti i colori
tanto da conquistarsi con il loro nome ufficiale (eroti) una sala
tutta per loro. E, poi, i marmi intarsiati e i mosaici dalle
tessere microscopiche che sanno creare chiaroscuri proprio come il
pennello... E le scene esotiche di vita sul Nilo, con i pigmei a
far colore, a cavalcare coccodrilli e strappare qualche sorriso...
E il serraglio di fiere africane che spingevano i sogni di là dal
mare. E i panorami fantastici, a volo d' uccello, parenti stretti
di quell' affresco superstar che Colle Oppio ha appena restituito
a Roma. Ecco: in mostra c' è il prima e il dopo di quella grande
pittura da parete. Che, comunque, ci fosse del metodo in tutte
queste follie variopinte l' esposizione lo spiega bene. Non solo,
in apertura, una saletta-atelier presenta tecniche, materiali e
strumenti dei pittori di allora - dal compassone in bronzo, alla
squadra, al filo a piombo, ai pigmenti fossilizzati dal Vesuvio
mentre erano lì lì per essere utilizzati - ma è proprio il
percorso espositivo a disegnare un suggestivo, maestoso albero
genealogico del gusto romano. Spiega Fabrizio Bisconti, curatore
della mostra e direttore della Pontificia Commissione di
Archeologia sacra (quella che per conto del Vaticano, fin dai
patti lateranensi, si occupa delle catacombe cristiane d' Italia):
"Siamo abituati a un' antichità bianca, sbiancata dai gusti dell'
800: proprio per contrastare questa visione abbiamo allestito
anche una sala di sculture che con le loro tracce di pittura".
Tutto ciò che aveva fatto belle le case della vita, dal secondo
secolo in poi, va a rendere più allegri gli spazi della morte.
Alberi, uccelli, tralci, resurrezioni, mille salvezze di mille
colori su fondi bianchi, danno luce al buio delle catacombe. "Temi
e soggetti degli affreschi catacombali" spiega Bisconti "venivano
suggeriti o imposti dalle gerarchie ecclesiastiche di allora.
Erano i papi, i vescovi che, di volta in volta, sceglievano dall'
Antico e dal Nuovo Testamento le scene più adatte a far da
grimaldello ai racconti della speranza e della nuova vita eterna".
E, giocando in casa, qui Bisconti ha fatto arrivare pezzi davvero
importanti: preziosità che non si vedono mai, conservate di solito
nelle sale riservate della Biblioteca vaticana, ma anche un
sottarco che era alle catacombe di Santa Tecla, il Daniele tra i
leoni dai santi Marcellino e Pietro, la grande Madonna con bambino
tra i santi Felice e Adautto con il ritratto della donatrice
Turtura che arriva dalla basilichetta vicina al cimitero di
Comodilla, gli affreschi di san Gennaro con altri martiri... Sono
le ultime fiammate d' arte catacombale. Cristo ha vinto. Cristo
regna. E Costantino lo vuole dire al mondo intero: Dio entra in
chiesa, le Madonne salgono sui loro troni, i santi si schierano in
parata. E Gesù, al centro di tutto, benedice, da Costantinopoli,
la sua arte. Proprio a mezz' ora da qui c' è la Ravenna degli ori,
dei mosaici e di Bisanzio: è lì - in quelle sue chiese visionarie
- che, idealmente, questa mostra continua.
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