Gli Optional
A.A.A.Altri articoli di produzione propria
TESTATA:
REPUBBLICA
DATA:
26/09/1999
PAGINA:
35
SEZIONE:
CULTURA
OCCHIELLO:
UNA MOSTRA A PARIGI. Ma chi erano i primissimi abitanti del
vecchio Continente? La loro storia è ancora piena di
misteri
irrisolti. L' antichità preme ovunque per riaffiorare,
farsi
finalmente capire e diventare Storia
TITOLO:
L' astuto Ulisse sbarca al Grand Palais Si apre in settimana
un'
esposizione di oggetti che ha come tema l' Europa 200 opere
scelte fra le cose più belle della preistoria E' la barca
il
soggetto più ritratto tra i graffiti ritrovati Non si
sa perché
AUTORE:
di SERGIO FRAU
TESTO:
Parigi L' isola di Circe, la grotta di Polifemo, il paese
strafatto dei Lotofagi, Scilla & Cariddi, il Grand Palais...
Il
Grand Palais? Figurarsi se - con tutte le giravolte che Omero
gli
ha già fatto fare nell' Odissea - Ulisse non poteva finire
anche
qui, nelle sale del bel palazzone che smotta, a far da santo
protettore a una mostra messa su "nel segno dell' Europa"
per
entrare nel 2000, dato che va avanti fino al 10 gennaio. E Ulisse
vi sbarca, infatti, nel sottotitolo: "L' Europa al tempo
di
Ulisse". Mentre il titolo vero e proprio - per tenersi
comunque
alti, visto che è ormai dimostrato che le esposizioni
con oro,
tesoro, o un Mito qualsiasi in testata, chiamano più
di ogni altra
- recita per l' appunto "Dei ed eroi dell' età del
bronzo". Ma
tant' è... Il fine giustifica i mezzi? E allora, se per
far
passare al vaglio degli euromanager di Bruxelles, un' esposizione
colta e raffinata, zeppa di capolavori millenari, come questa,
serviva agganciarla a qualche suggestione, ben venga! E sì,
perché
se da una parte c' è Ulisse, dall' altra c' è
Europa a far da
madrina - con soldi e sponsor ufficiale - al tutto. La mostra
è,
quasi, un derby; un euroderby che taglia fuori Afriche del Nord
e
Asie minori: "Mediterraneo bianco contro Resto d' Europa",
insomma. E il match, che si apre con il Mediterraneo dei Micenei,
di Creta & C. come gran favorito, si chiude invece - grazie
ai
tesori danesi, alle stupefacenti armature tedesche, agli elmi
da
paura baltici, ai capolavori in avorio o ambra che arrivano
dal
grande freddo del Grande Nord - con un sorprendente pareggio.
Certo i nostri hanno dalla loro Omero a farne dei giganti...
Gli
altri - se ce l' avevano - gli è marcito nelle terre
umide di
lassù e la tradizione orale, si sa, svapora rapida, ormai.
Così
Danimarca, Germania, Svezia, Ungheria, Slovacchia - per il periodo
trattato in mostra, dal 700 a. C. alla vigilia della trascrizioni
omeriche, indietro fino al 3000 a. C. - si stanno accontentando
di
gioire quando salta fuori qualcosa e archiviarlo nei loro
supercomputer nell' attesa di una parola chiave, di un codice
d'
accesso che spalanchi la memoria e spieghi, finalmente, perché
tra
i graffiti ritrovati la barca è il soggetto comunque
più ritratto
anche nelle zone più lontane dal mare (l' ipotesi è:
barca=commercio=ricchezza=felicità. Ma è solo
un' ipotesi...); o
anche come mai l' ascia viene rappresentata enorme proprio là
dove
si usa di meno; o il carro - tutti quei carri raffigurati in
mille
ghirigori, o trionfanti nel bronzo come quello danese del 1500
a.C. che trascina un disco d' oro scintillante, grande quanto
un
vecchio 45 giri - cosa vuol significare a parte l' emozione
per
un' invenzione come la ruota che facilitò la vita al
mondo di
allora? Su due piani la mostra - attraverso 200 oggetti scelti
con
sapienza tra le cose più belle che la preistoria abbia
mai
restituito all' archeologia (o al caso) e sistemati in sale
ben
ritmate dai toni di un caldo color terracotta, racconta l' Europa
degli inizi. Quella almeno che, per ora, siamo in grado di
raccontare. Non è certo un ritratto uno a uno, ché
altrimenti
sarebbe servito l' intero Grand Palais, anche quello puntellato
e
che stanno pensando di buttar giù... E' , però,
una campionatura
scintillante che fa brillare gli occhi ai soprintendenti dei
vari
paesi arrivati ad accompagnare in tournée le loro gioie
archeologiche. "Non esiste la possibilità in nessun
museo di
vedere tutta insieme tanta roba, e così importante, di
quegli anni
misteriosi" dice Tobias Springer del Germanisches Museum,
in
trasferta qui con il suo cono d' oro alto quasi un metro,
istoriato all' esasperazione, da esporre con un altro pressoché
identico trovato in Francia, un altro svizzero davvero simile
ma
più basso, un altro ancora... E spiega: "Probabilmente
erano
copricapi per cerimonie di una religione diffusa nel cuore d'
Europa intorno al 1300 a.C., molto prima dei Druidi... Più
o meno
nel periodo che gli Achei bruciavano Troia. Ma sicurezze vere,
per
ora, non ne abbiamo". I cappelloni d' oro, contornati da
altre
vetrine zeppe d' altro oro, fanno - magici come sono - da gran
finale, all' esposizione che parte, invece, al piano di sopra
con
un accenno a Ulisse il quale, subito dopo, salpa via, per lasciare
lì una riproduzione del suo elmo con i denti di cinghiale,
tre
ritrattini, un bronzetto buffo, e dar spazio a meraviglie molto
più inedite. Tori d' oro dal Caucaso, ma anche da Creta,
ma anche
dappertutto, ché ovunque quel bestione mitico è
stato sacro per la
sua fertilità tant' è che ancor oggi ne paga il
prezzo nelle
corride di Spagna. E navi: modellini e ritratti di navi che
arrivano da tutti i mari d' Europa, tutte differenti e tutte
parenti. E i materiali - malachite, ambra, pietre rare - che
insieme al bronzo fuso in due o tre tipi di lingotto davano
a
quelle navi il coraggio di salpare per guadagnarci poi su. E
armi,
tante armi. Come se quel bronzo - una volta fatte le ruote,
fatti
belli gli oggetti della vita e della morte - non dovesse servire
a
null' altro che a uccidere o a non farsi uccidere. Hanno una
loro
potente, spettrale, suggestione quattro corazze messe lì,
conchiglie morte e vuote; tutt' intorno armi, inquietanti: punte
di lancia, daghe, pugnali, spadoni, picche... Tutta roba che
arriva da vari posti - come le corazze francesi, come quattro
portentosi scudi - ma ti viene automatico stabilire un assurdo
rapporto causa-effetto tra quelle corazze morte e quelle armi
lì
intorno, tra cui ci deve pur essere quella che ha ucciso. Dinanzi
a grandi rocce istoriate che arrivano dalla Val D' Aosta, dalla
Germania, dalla Francia che gli architetti Caruso & Torricella
hanno montato in circolo, comme il faut, quasi a dimostrare
che,
da Stonehenge a Carnac di un codice comune di preghiera e arte
si
trattava, il professore Jean-Pierre Mohen (curatore della mostra)
se ne esce con una gran bella, complessa, riflessione su immagine
e scrittura, un po' alla McLuhan, ma retrodatandola alla notte
del
tempo: "E' come se, paradossalmente, la scrittura bloccasse
l'
immaginazione attiva che accompagnava la lettura degli antichi
graffiti con tutti i racconti a voce che si dovevano portar
dietro, per spingere l' uomo verso la lettura vera e propria.
E
questo sembra avvenire con molti aspetti positivi, certo...
Ma
anche con rigidità maggiori, nuove, della fantasia".
Qualcosa di
davvero simile, insomma, ai media caldi e freddi, con i Graffiti
a
far la parte della radio, e lo Scritto quella di una primissima
tivù senza immagini che, però, già blocca
il cervello in
stereotipi codificati. E, se il professore non fosse così
affannato a dare gli ultimi ritocchi alle vetrine visto che
giovedì s' inaugura, sarebbe interessante continuare
a ragionare
con lui, per paradossi. E magari provare a ipotizzare se anche
il
metallo non abbia fatto pagare qualche prezzo grosso alle civiltà
neolitiche o a quelle dell' età del bronzo protagoniste
dell'
esposizione... In realtà quel che di possente la mostra
fa
intuire è che la Preistoria, quasi fosse magma incandescente,
preme, ormai, dappertutto, per riaffiorare, farsi finalmente
capire e diventare Storia, grande Storia. Basta guardarle le
cartine dei megaliti che nel tremila prima di Gesù punteggiano
il
vecchio continente: tirarne su uno solo serviva l' ira di dio,
tonnellate di fatica o miracoli di tecnica? Ancora non lo si
sa
davvero. E quei ceselli, allora, che inseguivano la morte nelle
tombe a tumulo, quasi identiche dall' Egeo al mar Baltico? E
la
Voglia di Bello che fa incidere e decorare tutto con amore,
pazienza e buongusto? Ma chi erano questi primi Europei? E come
mai sono ancora tanto distanti da noi? Di fatto esci dalla mostra
con un rovello dentro, uno in più: ma non ci saremo forse
abituati
a convivere con il mistero? Non avremo chiuso, tutti insieme,
su
questo fronte della preistoria, quella zona neuronale che pilota
la vera curiosità? In Egitto, giusto due secoli fa, quando
i
sapienti francesi di Napoleone chiedevano ai fellàh di
lì chi
avesse costruito quei loro maestosi templi, ottenevano sempre
la
stessa risposta: "Forse i Turchi...". Nelle loro capanne
di fango,
paglia e merda, neanche più riuscivano a ipotizzare di
essere
discendenti di una grande civiltà. E noi allora? Se tutte
le
meraviglie in mostra, qui - ma anche le migliaia di colossi
in
pietra dell' Internazionale dei Megaliti da Stonenghe a Malta,
i
milioni di graffiti e pitture rupestri sparsi dal Manzanarre
al
Reno, dalle Alpi alle Piramidi e pure più in là,
per trionfare poi
affollati giù nel Sahara che era un paradiso terrestre
tutto verde
- invece di essere saltate fuori qua e là, pezzo a pezzo,
diluite
nel tempo e nello spazio, fossero riapparse all' improvviso,
tutte
insieme, quanti interrogativi imporrebbero? Come si potrebbe
convivere con un baratro d' ignoranza così vasto - e
così nostro,
poi - oggi che si va sulla Luna e che la scienza permetterebbe
di
sapere, radiografare, indagare con portenti tecnologici e
marchingegni, "intelligenti" solo per la guerra? E
avremmo
ugualmente speso mille miliardi per la sontuosa Reggia dell'
Europarlamento appena inaugurata a Strasburgo? O avremmo, invece,
dirottato parte di quel tesoro a frugare nel nostro passato,
a
caccia delle pagine strappate o sbiadite del nostro Album di
Famiglia? E la vertigine di chi fossimo soltanto dieci,
quindicimila anni fa e di come mai a un certo punto tutto cambiò,
che effetti avrebbe, se consapevole? Durante la visita alla
mostra, tra una Dea Madre diafana e geometrica, cicladica, e
un'
altra d' argilla scrostata, popputa, quasi contemporanea, d'
improvviso salta fuori anche Freud. Lo tira dentro, in un
discorso, il professore Mohen: "Già per il maestro
di Vienna la
Preistoria rappresentava un problema da risolvere. Come se nella
psiche dell' umanità ci fosse un zona di buio: di sogno
ma anche
di incubo...". Molto meglio concentrarsi sulla misteriosa
fine dei
Maya. Tanto loro avevano la testa a pera e sono, comunque, l'
altra parte del mondo.
DIDASCALIA:
Due elmi con corna in bronzo, fine dell' Età del Bronzo,
Nord
Europa; in mezzo, nella foto piccola, statua femminile del
Tempio di Kéa, dell' isola ciclade di Keos, XV secolo
a.C.
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