Gli Optional
A.A.A.Altri articoli di produzione propria

TESTATA:
REPUBBLICA
DATA:
28/08/1999
PAGINA:
18
SEZIONE:
CRONACA
OCCHIELLO:
L' arte, l' architettura, la gente, l' economia storia di uno
straordinario assemblaggio. E' come se, nei secoli, tutte le
culture del Mare Nostro avessero contribuito con un po' di loro,
volenti o nolenti, alla formula magica che ha poi materializzato
d' incanto la città
TITOLO:
Dimenticate Venezia è solo un grande puzzle. Aggirandosi tra calli
e canali e scavando nelle origini delle meraviglie che si
specchiano in laguna, sembra proprio di visitare il grande museo
del Mediterraneo che ancora non c' è ALBUM MEDITERRANEO
AUTORE:
dal nostro inviato SERGIO FRAU
TESTO:
VENEZIA - Toglile san Marco che, da vivo, solo le leggende dicono
che qui ci è passato (e, casomai, si fermò ad Aquileia che era già
affollata e famosa) e che, da morto, l' hanno comprato, reliquia
bell' e fatta, dai copti di Alessandria d' Egitto. Smontagli via,
pietra per pietra, il Ponte di Rialto e rimettili, quei marmi,
tutti in giro per la laguna fin su ad Altino, Eraclea e a
Torcello, o giù a Padova, dove i Romani li avevano portati per far
belle quelle loro città usate poi come cave dai veneziani per
secoli. Stacca via, tessera per tessera, i 4000 metri quadri d'
oro che foderano la Basilica, ché per fare la maggior parte di
quei mosaici arrivarono apposta da Bisanzio squadroni di tecnici
benedetti dall' Imperatore e a capeggiarli, per di più, c' era un
greco. Anzi, levagli proprio tutti i pezzi e i decori smontati via
da Bisanzio per rimontarli qui e vien giù San Marco: via la pianta
copiata dall' Apostoleion di lì, l' ultimo grande edificio romano;
via almeno 300 delle sue 600 colonne (ma solo 15 sono roba
occidentale); via i capitelli (presi anch' essi da Salonicco,
Rodi, Chios, Kairuan, Bari...); via i marmi belli del rivestimento
arrivati con la IV crociata del 1204 e, sotto sotto, è tutto
cotto, proprio come le chiese di Torcello e Ravenna; via anche
quelle statue ribattezzate, ché "Il Conte di Carmagnola" è invece
Giustiniano II e "i Tetrarchi" chissà chi erano e da dove
arrivano... Fagli galoppar via, pure, i quattro purosangue
rampanti di bronzo ché anche quelli sono parte di una quadriga
classica che faceva scena nell' ippodromo di Bisanzio ed è bottino
della IV crociata e che furono i fiorentini - così, almeno, dicono
i fiorentini - a far capire ai veneziani quanto fossero belli e
importanti obbligandoli a esporli per bene a sovrastare la
facciata della Basilica. E falli, poi, inseguire - quei cavalli -
dai quattro colossali leoni che rendono maestoso e folle l'
ingresso all' Arsenale ché sono anche loro tutta roba altrui,
greca o sassanide o chissàcché, presa qua e là nei secoli, dopo
che, ragionando sulle parole dell' Apocalisse e frugando nei
Vangeli, si decise che Marco e leoni erano, tutto sommato, la
stessa cosa. Spegnile, poi, le fornaci del vetro soffiato perché
anche quello vien da fuori: è un antico copyright alessandrino di
cui, però, Alessandria d' Egitto non protesse con la pena di morte
i segreti come fece invece Venezia per secoli. Restituisci le sue
biblioteche più ricche a quei greci che le misero in salvo qui,
come il Bessarione, disperati per i Turchi del 1453. Sbarra via
dai menù le ricette con le spezie d' oriente e il riso, e si
mangia solo pesce. Togli, poi, dal dialetto le parole mezze
spagnole, mezze arabe, francesi, austriache e i veneziani non
parlano nemmeno più... Persino per vantarsi con una frase tipo "mi
go tanti schei", devono usare un po' di Spagna ("mi tiengo"), e un
po' di Austria ("scheidemunze), ovvero "spicci", "spezzati" che
era l' impronunciabile parola scritta intorno ai centesimi
austriaci che loro abbreviarono, appunti, in "schei". Cancella
via, ora, Riva degli Schiavoni (gli Slavoni), l' Isola degli
Armeni, il Fondaco dei Turchi, quello dei Dalmati, quello dei
Tedeschi, il Ghetto degli Ebrei... No, il Ghetto degli Ebrei no!
E' infatti un brevetto tutto veneziano, il primo del mondo ("Li
Giudei debbano tutti abitar unidi la Corte de Case che sono in
Ghetto appresso San Girolamo; ed acciocché non vadino tutta la
notte intorno sia preso che dalla banda del Ghetto Vecchio dov' è
un Ponteselo piccolo, e similmente dall' altra banda del Ponte,
siano fatte due porte, cioè una per cadauno di detti luoghi; le
qual Porte se debbin aprir la mattina alla Marangona, e la sera
siano serrate a ore 24 per quattro custodi Cristiani...", Venezia,
29 marzo 1516), ma le meraviglie che il Ghetto nasconde al suo
interno (la bellezza all' esterno era, infatti, vietata per legge)
arrivano in parte dal mare insieme agli ashkenaziti (scrigni,
amuleti, gioie sacre e profane, corni d' ariete...) e in parte dal
Nord Europa: la Scuola Tedesca, con la sua iscrizione in ebraico
che ne certifica la fondazione, è dell' anno ebraico 5289 ovvero
1528-29. Via gli ebrei? Via i loro tesori? E, allora, via anche
San Giorgio dei Greci, San Giorgio degli Albanesi, calle delle
Turchette (dove facevano ravvedere a forza le ragazze
extralagunari troppo disinvolte), via il Ponte di Ca' Balà (ché
non esiste famiglia Balà e Cabala non è certo nome veneziano),
via... Se davvero levi via tutte le etnie immigrate, calamitate
qui nei secoli a far affari, a lavorare, a far bella Venezia,
finisce non solo che ti sparisce persino il Longhena (che era di
Brescia e di nome faceva Balthasar Longinus, figlio di
Melchisedech), ma anche che ti rimangono, dappertutto, i buchi
degli spettacolari edifici che quel geniale architetto tirò su per
la Serenissima, Madonna della Salute compresa. E se chiedi il Dna
in giro e, di conseguenza, espelli da Venezia tutti quelli che gli
scorre sangue misto nelle vene, ti rimane un deserto affollato
solo di turisti. Figurarsi che nel suo momento d' oro Venezia, nel
1423, aveva una ciurma di 17 mila marinai: la maggioranza Dalmati
e Istriani, tutti fertilissimi, che senza di loro e i loro figli
metà delle 3900 navi della Serenissima sarebbero rimaste alla
fonda. Altro che arrivare in Mar Nero, in Siria, ad Anversa...
Proprio vero quel che va ripetendo Luca Cavalli Sforza: "E' ormai
provato scientificamente che il razzismo non esiste! Esiste solo
l' ignoranza!". A Venezia - volendo infierire - ritirale pure la
patente affibbiatale da Goethe di "città di castori", perché ormai
stanno saltando fuori le prove non solo che già i micenei qui in
zona, nel XIII secolo prima di Cristo, fecero miracoli e affari in
laguna ma anche che i ravennati erano molto più "castori" di loro,
visto che in più sapevano fare anche i trampolieri e giravano
veloci per le loro paludi su trampoloni alti tre metri come
racconta - e disegna - Dario Fo, il Nobel, nel suo poderoso
librone "La vera storia di Ravenna". E poi strappale via il cuore
- il "logos", il simbolo - la gondola: l' etimologia la battezza,
infatti, da "concha" (la conchiglia degli spagnoli); o da
"gandeia" (un naviglio africano); o dal termine bizantino
"kontoura" ("coda corta")... Denunciala, poi, per aver rubato la
sede del Patriarcato a Grado che, per di più, l' aveva solo in
prestito da Aquileia, visto che una volta espugnata dai barbari
questa città - che oggi è uno splendore, con il suo piccolo,
strabiliante museo e il colossale mosaico della Basilica - non era
più sicura per farci nulla. Persino l' idea di commerciare sul
mare - se si dà retta a una lettera del 538 ai veneziani, firmata
Cassiodoro, ministro dei primissimi re Goti, per convincerli a
trasportare vino e olio dall' Istria a Ravenna - sarebbe arrivata
da fuori, per posta. ("Voi abitate terre che l' acqua copre e
scopre con il suo alterno fluire. Le vostre case, che ora sembrano
posate sulla terra, ora galleggiare sulle acque, somigliano a
quelle degli uccelli palustri. Poveri o ricchi, voi vivete all'
insegna dell' eguaglianza, estraendo il sale e nutrendovi di
pesce..."; per concludere, qualche riga dopo, con l' invito a
darsi al commercio). E se poi, alla fine, volendo proprio
strafare, si fa tornare pure Corto il Maltese a Malta, e suo papà,
Hugo Pratt, a Rimini dov' èra nato, cosa di veramente veneziano
rimane a Venezia? E sì, scorporati tutti gli ingredienti e le
genti che fanno la storia e la geografia e la meraviglia di questa
città-scrigno (ma anche città-bottino), e riuscendo poi a
immaginarseli isolati, senza farsi ipnotizzare dai contesti
strabilianti dove sono finiti oggi, sembra proprio di visitarlo il
Gran Museo del Mediterraneo che ancora non c' è: come se, tutte
insieme nei secoli, per secoli, tutte le culture del Mare Nostro
abbiano contribuito con un po' di loro - volenti o nolenti - alla
formula magica che ha poi materializzato, d' incanto, Venezia. Di
suo Venezia non ha messo solo acqua, fango e tigna: ha saputo
trasformarsi in città calamita, acchiappageni, come fecero solo
Alessandria dei Tolomei, la Roma del melting pot, la Parigi a
cavallo degli ultimi due secoli con le avanguardie a galoppo
sfrenato, la New York di vent' anni fa... E, poi, ha saputo usarlo
il Mediterraneo - di riffa o di arraffa - come un maestoso self
service d' antiquariato dove - con occhio lungo - fare acquisti, e
quelli giusti per di più. Acquisti? Oddio tutte le carte in regola
non sempre ci sono. Metti proprio quei leoni dell' Arsenale: il
più bello, che tutti ci flashano su, mica è arrivato qui con le
sue zampe: ce l' ha portato a forza dal Pireo (dove sorvegliava il
Porto dei Leoni con il suo gemello che è ancora nel museo di lì)
quel Morosini che bombardò il Partenone... E anche gli altri,
tutti catturati in giro; compreso quello che sembra un po' più
scemo degli altri, con il suo capoccione sproporzionato che, però,
non è mica colpa sua: il corpo è sassanide, la testa trapiantata,
rimediata chissà dove. Per non parlare di quello alato sulla
colonna - il simbolo della Repubblica - messo lì a sorvegliare l'
attracco di San Marco: anche lui senza pedigree certo, fu preda di
Venezia prima, di Napoleone poi. Tornò da Parigi in mille pezzi.
Ora, dopo un bel restauro, sta faccia a faccia con la statua di
San Teodoro, anche lui una specie di Frankenstein messo insieme
incastrando pezzi scolpiti di tutto il Mediterraneo. Insieme, a
far da simboli, sono perfetti...
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