Gli Optional
A.A.A.Altri articoli di produzione propria
TESTATA:
REPUBBLICA
DATA:
23/08/1999
PAGINA:
28
SEZIONE:
CULTURA
OCCHIELLO:
Un centinaio di opere provenienti da depositi, musei e collezioni
private. Ecco il simbolo di una esperienza artistica antica
che
viaggiò nel Mediterraneo insieme agli dèi, alle
idee e alle
merci e che la Chiesa seppe far suo dopo il tramonto di Roma
TITOLO:
Pietre, vetri e colori così i mosaici raccontano il passato.
Si
apre oggi al Palazzo del Podestà, nell'ambito del Meeting
per l'
amicizia dei popoli, l' esposizione dedicata a un'arte che
racchiude 2300 anni di storia
SOMMARIO:
UNA GRANDE MOSTRA A RIMINI
AUTORE:
di SERGIO FRAU
TESTO:
Rimini "Ma siete pazzi a spostare ' sta roba. Io, certo,
non ve la
avrei mai data. Ma che si fanno viaggiare gli affreschi? E questi,
poi? Se dovete proprio fare le esposizioni scegliete, almeno,
opere più resistenti... Roba da matti!". Giusto
un anno fa,
visitando la mostra "Romana pictura" - nelle stesse
sale dove
adesso trionfa "La forma del Colore", tutta dedicata
al mosaico e
alla sua lunga storia in Italia- un fiammeggiante Federico Zeri
mise tutti in riga ( archeologi e storici dell' arte,
organizzatori dell' esposizione), proprio con queste parole.
Alla
fine, dopo la visita e molti "ahhh" di godimento o
di
riconoscimento per certi dipinti davvero portentosi, Zeri se
ne
uscì: "Ma fate allora una mostra di mosaici, ché
quelli reggono
sempre, sono bellissimi e nessuno li ha ancora raccontati per
bene!". Detto (da Zeri), fatto (ora) da Marco Bona Castellotti
che
era lì con il Maestro, che con lui aveva già collaborato
in più
occasioni e che, dell' esposizione aperta oggi nel Palazzo del
Podestà di Rimini, è il consulente scientifico.
Così, stavolta, il
"Meeting per l' amicizia dei popoli" arrivato ormai
ai suoi 20
anni, tra tante altre iniziative per i credenti di Cl, regala
fino
al 6 gennaio del 2000 la sua sede espositiva più prestigiosa
a 107
mosaici estratti in gran parte da depositi, scavati nei magazzini,
scovati in collezioni private, importati temporaneamente da
sacrestie e museini che li trattano bene ma che, poi, però,
per
andarli a vedere... Paradossale? Strampalata? O piuttosto -
se il
termine non facesse ormai accapponare la pelle - post-moderna?
Non
si sa davvero cosa usare, qui e ora, per descrivere questa
fascinosa Wunderkammer forti tinte, "bric à brac"
di meraviglie
fuori scala, scintillio di tessere, pietra e vetri e colori;
staccati, sproporzionati tra loro, scorticati via da chiese
e
cupole, strappati a forza da ville romane dov' erano lì
a far da
pavimento, e ora qui - accoppiati agli ori cristiani, a "bibelots"
di principi e papi, a creazioni del ' 900 - per ricostruire
pezzo
a pezzo, anch' essi come in un mosaico, un racconto solido,
brillante e lungo 2300 anni. E sì, perché in gran
parte di
frammenti si tratta: teste decollate da Cristi paleocristiani,
convivono con passerotti e festoni che facevano sereni i pranzi
di
Adriano nella Villa bella di Tivoli; capoccioni di apostoli
nati
per essere visti su in alto - appiccicati alla controfacciata
di
Torcello, un bel po' di metri sopra di te - te li ritrovi invece
faccia a faccia, e la loro di testa è il doppio della
tua;
imperatrici bizantine che hanno l' aspetto di Madre Chiesa e
Chiese che sembrano invece il Faro di Alessandria, che poi,
invece, appare davvero, d' improvviso, in un mosaico due metri
per
due trovato scavando via Nazionale a Roma, gigantesco e già
mitico, a contendere il ruolo di protagonista alla feluca lì
di
fianco, tutta ornata, e al suo mare di uno strano blu elettrico
scosso da scariche di turchese a far da onde. E anche , però,
a
far da simbolo a quest' arte antica che zigzagò il Mediterraneo
insieme agli dei, alle idee, alle merci e soprattutto ai cartoni
e
a quei pazientissimi artigiani in grado di fare l' arte in mille
pezzi. In mostra c' è solo roba italiana. Nel senso che
è stata
trovata in Italia o che appartiene a collezioni di qui. Ma a
indagare in tutto il pian terreno - bello di Ifigenie, gladiatori,
Vittorie alate, e di un serraglio "animalier" un po'
folle che è
un portento - cercandovi un Dna italico, appare chiaro che però
per avere una vera e propria scuola di mosaicisti italiani -
dopo
il tramonto di Roma che, comunque spesso si serviva di artigiani
greci o africani - bisognerà aspettare il Cinquecento
fiorentino
su al piano. E anche il Vaticano, poi, che crea quel suo
laboratorio legato alla fabbrica di San Pietro a cui affidare,
fedele nei secoli alla tradizione, restauri, esecuzioni e
manutenzione del tesoro musivo delle basilica ma anche delle
chiese romane come Santa Prassede o Santa Maria in Domnica con
i
loro baluginii d' oro, voluti dai papi arrivati o innamorati
d'
Oriente. Ravenna prima, Venezia poi, infatti, si servono per
lo
più di maestranze greche che - tra icone e mosaici, con
Costantinopoli che non ha ancora dichiarato, la sua bigotta
guerra
alle immagini - la sanno davvero lunga. E' proprio al secondo
piano del Palazzo del Podestà che ci s' imbatte nel Rinascimento
in gara con l' Antico: grandi maestri come i due Ghirlandaio,
Raffaello, Tiziano, si cimentano di nuovo con questa tecnica
abbandonata per secoli, che proprio in quegli anni verrà
battezzata "pittura per l' eternità". Del resto
anche il Vasari,
ammirato, ne aveva scritto: "Veramente di tutte le cose
perpetue
che si fanno con i colori, nessuna più resta alle percosse
dei
venti e delle acque, che il musaico". Proprio questa sua
invulnerabilità ha permesso oggi alla curatrice della
mostra,
Angela Donati, di ricostruirne per bene l' avventura attraverso
tutti questi secoli. C' è un' età d' oro del mosaicismo
che l'
esposizione accenna appena, ma che sarebbe divertente indagare
di
più: il passaggio dal paganesimo alle prime raffigurazioni
cristiane. L' ellenismo aveva contagiato chiunque, nel
Mediterraneo, se lo potesse permettere: prove generali di
cristianesimo, quasi... Le case si fanno più belle, le
teste più
colte; e, da un certo livello in su, si sa parlare greco: una
rete
culturale su cui viaggerà veloce anche la buona novella
di Cristo.
I mosaicisti nelle loro botteghe erano zeppi di cartoni dal
soggetto pagano, spesso tramandati di padre in figlio: decori,
miti e fregi cari a tutt' altri dei come quei pampini e quei
grappoli di Dioniso che funzionavano a meraviglia per decorare
sale di banchetti gaudenti e molto, molto laici. Ebbene: a forza
di simbolismi, metafore, allegorie - frugando tra Bibbie e Vangeli
per cercarvi giustificazioni e pezze d' appoggio - mezza
iconografia paleocristiana ricicla, riusa e smaltisce quei cartoni
e quei soggetti già pronti, ché tanto la vite
è "vita", e la
vendemmia che dà il vino diventa "sangue di Cristo",
e anche pesci
e pecorelle possono sempre passare per citazioni simboliche
di
qualche miracolo sparso. L' oro, invece- tutto l' oro che la
Bisanzio cristiana sparge a far da fondale a madonne, cristi
e
imperatori - è nuovo, quasi del tutto inedito nel periodo
romano:
"Io sono la luce del mondo..." aveva fatto dire Giovanni
a Gesù, e
i mosaicisti, quella nuova luce, se l' inventano così.
(A San
Marco i mosaici coprono 4.500 metri, e l' oro lì abbaglia).
Che
anche quelle raffinatezze del Sei, Sette e Ottocento a tessere
minute, patinate, talvolta leziose, si chiamino mosaici è
un'
ingiustizia lessicale: è roba nata per altri scopi, per
far belle
sale e le tavole di principi e signori, ma non hanno nulla dell'
antica potenza schematica del mosaico come lo è stato
fino a
Torcello, a Ravenna, a San Marco. In mostra ci sono preziosità
ottocentesche della famiglia Savelli: villanelle, tavolinetti,
parure, specchi... tutto in micromosaico in smalti filati
appartenenti a quello che fu l' editore di Porci con le ali,
Radio
Rabbia Alternativa, Nestlè uccide il bebè, ché
la loro è una
dinastia che, in passato, fabbricò gadget e rosari per
il Grand
Tour legati a San Pietro. Qui la mostra diventa tutt' altra:
non
ci sono più le sorprese della distanza ravvicinata, delle
sproporzioni, del paradosso technicolor. Tutto è bello.
Fin
troppo. All' ultimo piano - che avrebbe dovuto rappresentare
il '
900 raccontato in catalogo con gran bella scrittura da Gianni
Morelli - è come se i curatori, d' improvviso si fossero
stancati
di cercare meraviglie e le avessero recuperate soltanto a 20
minuti da qui, nei depositi di Ravenna. C' è un bel pezzo
di
Severini, un testina di Funi che non ha niente, però,
della forza
abituale di Funi, un gioco di Emilio Villa, e altre cosine già
esposte da poco e che arrivano da depositi ravennati: un mosaico
(anche piacevole) da una pittura di Michelangelo Antonioni;
un
Balthus troppo matissiano; un "campiglino" così
così; le Iris di
van Gogh rifatte ancora, ma in mosaico... Nulla, però
- neppure
dei cartoni, o buone foto - a raccontare il trionfo della
decorazione novecentesca che, proprio grazie alla riscoperta
del
mosaico monumentale, ci ha lasciato l' Eur e il Foro Italico,
anche se sopra quelle sagome nere su fondo bianco, firmate
Severini, chiunque, ormai, ci può pattinare su quando
vuole.
DIDASCALIA:
Da sinistra, Mosaico con Fenice da San Pietro e Mosaico da Pietro
da Cortona. A destra, nella foto grande, Mosaico pavimentale
dal
palazzo di Teodorico e accanto, Tavolo con colomba e fiori.
In
basso, Mosaico con volto di Cristo di Provenzale e accanto,
Mosaico contemporaneo
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