Gli Optional
A.A.A.Altri articoli di produzione propria

TESTATA:
REPUBBLICA
DATA:
18/08/1999
PAGINA:
20
SEZIONE:
CRONACA
OCCHIELLO:
Viaggio nel museo lungo 560 chilometri e 2311 anni. Oggi per
trovare i tesori che la fiancheggiano e che riempiono le "sue"
città bisogna aggirare siepi di cartelli pubblicitari, bastioni di
palazzotti anni Sessanta, simil-Fuenti che invitano a premere
sull'acceleratore
TITOLO:
Appia, regina di pietra Orazio nel 37 avanti Cristo ci mise otto
giorni, in carrozza con Mecenate, a percorrerla tutta da Roma a
Brindisi
SOMMARIO:
Torna a splendere la più celebre delle strade romane: i lavori di
interramento del raccordo anulare sono quasi completati e il
sottosuolo ha restituito mille metri di antico basolato nero,
ancora intatto. La costruirono i legionari, che il Senato non
voleva tenere in ozio. La percorsero imperatori e santi, artisti e
protagonisti del Grand Tour: su questo selciato c' è l' album di
famiglia di mezza cultura europea
AUTORE:
dal nostro inviato SERGIO FRAU
TESTO:
BRINDISI - Fosse un un film ti direbbero: "Troppa roba. Taglia,
taglia... Via le scene di massa: Annibale degli elefanti con la
battaglia di Canne. Le Forche Caudine... Via, perfino la disfida
di Barletta! E la rivolta di Spartaco, poi...". Fosse una soap
avrebbe bisogno di mille puntate, e poi ancora mille. Ma se l'
Appia fosse un museo, bè, allora sarebbe certo il museo più lungo
e strabiliante del mondo. Quale altro potrebbe vantare 560
chilometri di roba eccezionale da vedere e 2311 anni da
raccontare? Tombe e catacombe, all' inizio, che mischiano morti
benedette da mille dei diversi, ed edifici poderosi subito dopo. E
stadi, e mausolei, e ville romane, e dimore cardinalizie dopo
ancora, ai primi colli. E templi. E acquedotti che a tratti ti
viaggiano accanto, e mura ciclopiche a Fondi, e paradisi romantici
come Ninfa tutta ruderi, lillà e cancelli sbarrati, e altre ville
a mare giù nella Formia di Cicerone che si ritirava lì a scrivere
e che lì morì. E più giù ancora - tra dee madri e Isidi e streghe
e tarantolate - dove Roma doveva mostrare a tutti chi fosse non
soltanto con le legioni, ma anche con possenti anfiteatri e ponti
mai visti, e archi di trionfo che punteggiano il percorso fin alle
Puglie dei portenti romanici e normanni e barocchi, fino a
Brindisi e Taranto. E bisanzio dappertutto, e cento collezioni
nascoste... Fino al lieto fine (un' Appia honoris causa) di Lecce
la bella e Otranto la buona, che se non glielo dà Stoccolma il
Nobel per la Pace, bisogna inventarsene uno apposta tutti noi e,
dopo, dargli pure un Oscar per quel suo mosaico kolossal con
Alessandro Magno superstar. Il tratto vicino Roma lo sanno tutti:
la Tomba di Cecilia Metella, il Sepolcro degli Scipioni, il
Mausoleo di Zeffirelli, la collezione di falli della Lollobrigida
(più di cento, attualmente non visitabile), le osterie vecchiaroma
coi rigatoni-a-modo-mio, i campi di Erode Attico, le dimore dei
tangentari... Ma dopo? L' Appia, fino a una settimana fa, finiva
al quinto miglio: un pool di cervelli aveva pensato bene negli
anni ' 60 di tapparla, seppellendola sotto il raccordo anulare di
Roma. Per decenni divenne un budello cieco dove cercare puttane,
smontare motorini rubati e bucarsi in santa pace. E quanto ci si
infuriò Antonio Cederna per quella nuova oltraggiosa offesa alla
sua Regina Viarum. Oggi, nel mese del sole nero, anche il raccordo
si sta eclissando. E l' Appia torna a splendere. Vanno
consolidati, ampliati, ripuliti ma i tunnel ci sono. E sono due
gallerie colossali lunghe 1200 metri e larghe 20 che passano
sottoterra, a quattro corsie sotto l' Appia, e tra qualche mese
inghiottiranno tutto il traffico del raccordo che recintava Roma
verso sud. Ora l' Appia può tornare davvero quella che Cederna
voleva, regina trionfante fin giù. E a sorpresa, proprio otto
giorni fa, ha regalato agli archeologi un tratto di un chilometro
di pietroni neri, basoli ancora perfetti, ben incastrati, che
Adriano La Regina e Francesco Rutelli hanno deciso di far scavare
e tirar fuori dal metro di terra che adesso li copre. Questione di
mesi, ormai: per metà novembre, quando proprio la Fondazione
Cederna lancerà con un convegno apposito non solo la proposta di
legge per farne un Parco archeologico nazionale ma anche la
richiesta all' Unesco di iscriverla nel suo Listone del patrimonio
mondiale dell' umanità, forse sarà già tutto a posto. Seppellito
il raccordo, l' Appia torna lunga. Torna regina. Orazio,
scherzando scherzando, nel 37 avanti Cristo, ci mise otto giorni,
in carrozza con Mecenate, da Roma a Brindisi. Paolo ne fece dei
tratti in salita, predicando tappa tappa di Cristo. Orazi e
Curiazi sono seppelliti qui: ma due volte, in due posti diversi,
perché non sempre archeologia e tradizione si mettono d' accordo.
Una galleria di miti la percorre: ci passarono Adriano lo
spagnolo, Settimio Severo il libico, San Pietro l' ebreo, Tacito
francese come Caracalla, Eliogabalo di Siria, Filippo l' arabo, il
croato Diocleziano, l' algerino Apuleio... Ma poi anche Goethe,
Andersen, Stendhal, David, e Piranesi che ci lavorava, e Le
Corbusier... che solo a descriverne viaggi ed opere - con qualche
esposizione ben fatta lungo la strada - vien fuori non solo la
storia del Grand Tour ma anche l' album di famiglia di mezza
cultura europea. Mica se ne accorsero quegli sfigati dei legionari
che ci lavorarono su, smadonnando a incastrare pietroni, di star
costruendo il museo più lungo del mondo. Loro sapevano che era,
soprattutto, un' arma. Erano tutti abbastanza tranquilli, quando
al Senato venne in mente che mica li si poteva far oziare, ché
sennò si rammollivano. Appalto e direzione lavori vennero affidati
ad Appio Claudio il Cieco che, riuscì a farne la strada più dritta
di allora. A Pio Baldi, Soprintendente del Lazio, finora nessuno
gliel' ha mai chiesti; ma lui, proprio lungo quel primo tratto
dell' Appia fino a Formia e Minturno, avrebbe fior di palazzi
abbandonati che fatica a tener su con gli otto miliardi di budget
con cui deve pensare ogni anno a manutenzione, restauri ed
emergenze dei gioielli di 350 comuni laziali, di mille centri
storici: "Magari venissero utilizzati a museo: quando non sono
abitati, anche gli edifici più solidi diventano fossili vuoti,
cominciano a cariarsi, marcire, a costare sempre più". E se lo
dice lui, che un paio di anni fa ha messo ha punto La Carta del
Rischio per i Beni culturali, c' è da credergli. Superati i
Castelli - che basta cercarle con gli occhi non solo al museo e
saltano fuori antichità ovunque - corre come un film, dal
finestrino, l' Appia verso Terracina. Un canale a pagamento le
faceva da alternativa, fiancheggiandola: in questo tratto chi
voleva lasciava i sobbalzi del carro e s' imbarcava sulla chiatta.
Era poi compito dei muli trascinarla dalla strada.
"Radiosa/abiti/da Sposa... Polistirolo espanso Latina... Latina
Fiori... cedesi spazi pubblicitari/telefonare allo... Radiosa
riveste l' amore". Eh sì, purtroppo, cartelli-spot spezzano il
racconto del paesaggio per lunghi tratti ancora bello, quando non
sopraffatto da fabbricone sfrontate come la Mira Lanza che sta lì
e che basterebbe un filare di pioppi e dei rampicanti, e un po' di
buon senso o un "Ministero del Buongusto" a mimetizzarla un po' .
Terracina non ha solo il tempio-vista mare meglio piazzato del
Mediterraneo, e quel taglio nella roccia che - allora, nel cento
dopo Cristo, quando fu fatto fare da Traiano per alleviare il
saliscendi verso Fondi, fece notizia in tutto l' impero - ma ha
ancora al centro, di fianco ai basoli dell' Appia biancastri,
sotto ai tavolini dei suoi bar, una piazza pavimentata di pietre
vecchie duemila anni: un portento che nessuna cartolina celebra.
Formia è un inguacchio, un brogliaccio di costruzioni da dipanare
per rintracciarvi i segni antichi; poi, però, ne vale la pena.
Minturno no: te li offre ovunque i suoi fasti d' antan: quelli
romani, e più antichi ancora, giù in basso, dove c' è il teatro
proprio sull' Appia; quelli medievali su alla rocca. Sulla strada
che ogni politico del Sud deve per forza fare per tornare al
collegio, si stanno mangiando due montagne. Si vedono dall' Appia,
ma anche dall' autostrada, e pure dal treno: impossibile non
vederle. Giù di sfondo c' è il Vesuvio, montagna sacra. Poco più
in là la Reggia di Caserta. Sarno è più distante ma ti viene in
mente lo stesso e fai gli scongiuri. E, a sovrastare il panorama
dominandolo, cariandolo, queste due carcasse di montagna sbranata,
come magniloquenti segnali che qui lo Stato o non c' è o se ne
fotte. O che i padroni delle cave contano di più di Lui e di tutti
noi. Capua, che arriva subito dopo, è pazzesca. Bellissima e
impazzita: con efficenza, furore, entusiasmo e scientificità, si è
sepolta con tutte le sue cento chiese dietro insegne e cartelloni
che neanche ti fanno sospettare le meraviglie che nasconde. I suoi
palazzi - i primi venuti su con architetti longobardi dall' 856 -
inglobano colossali capitelli e sculture e fregi che arrivano
dall' Anfiteatro romano di Santa Maria Capua Vetere, l' antica
Capua ammazzata dai Saraceni. Quella nuova fu longobarda,
normanna, sveva, angioina, aragonese, francese, spagnola,
austriaca... E fu una cava per tutti, per secoli, questo colosseo
di qui che, ancora maestoso, fa da cuore a Santa Maria. Lì di
fianco si addestrava Spartaco, e la scuola gladiatoria che sta
riemergendo dagli scavi fornisce roba insolita per il Museo dei
Gladiatori prossimo venturo. Ci vollero due decreti dei Re
Borbone, all' inizio dell' 800 per salvargli la vita e i busti che
ancora lo fanno bello. Nel 1845 scavando un campo qui vicino
avvenne un miracolo: saltarono fuori a decine delle gigantesche
sculture in tufo biondastro. Madri, erano tutte madri! Sedute,
come in trono, nelle braccia possenti tenevano i loro figli: otto,
dieci, undici. Madonne incazzate. Alcune, tenendo in braccio i
neonati, ne stanno già partorendo un altro per la felicità dei
mariti che avevano così nuove braccia da far lavorare ai campi.
Sono maestose, possenti, tronfie ma per nulla allegre, ancora più
inquietanti ora che i loro antichi colori squillanti sono quasi
del tutto scomparsi e che la pietra scorticata dà loro un' aspetto
modernissimo. Stavano tutte insieme in un tempio della fertilità:
erano ex voto per figli ricevuti e le hanno datate dal sesto al
terzo secolo avanti Cristo, giusto quando Roma fa ordine anche a
Capua: ora rendono indimenticabile il Museo provinciale,
ricchissimo, vecchiotto, fascinoso un po' come l' Egizio di Torino
o l' Archeologico di Napoli, quel genere di museo, insomma, che
non va toccato. Il cambio di cavalli, un tempo, si faceva ogni 30
chilometri circa. A Capua ce n' era uno. Un altro, 30 miglia più
in là, nella Benevento delle Streghe. E chissà se c' è una via
femminile che scorreva nascosta dentro l' Appia, che porta giù
alle tarantolate pugliesi e ai loro rituali di salute. Gli
archeologi di fronte a queste cose storcono il naso: o c' è il
reperto, o non se ne parla proprio. Ma gli antropologi - che sono
più fantasiosi - non lo escludono. Benevento aveva, comunque, un
tempio di Iside tra i più frequentati dell' antichità. E si sa che
il Cristianesimo prese il prendibile da quel culto soprattutto
femminile per catturarne le fedeli. Il resto di Iside - il sesso
spudorato, le divinazioni e i cento malocchi - lo annientò. La
Provincia di Benevento continua a farlo: sono tre anni che il suo
museo, con i reperti egittizzanti presi dall' Iseo scavato qui
anni fa, è "in restauro". Ora stanno montando i ponteggi per dare
una sistemata all' arco di Traiano e, sapendo il vorticar di soldi
che c' è, talvolta, dietro l' affitto dei tubi, c' è da
preoccuparsi. Fu proprio Traiano che puntò al raddoppio dell'
Appia: per la felicità dei legionari, quattro secoli dopo Appio il
Cieco, nel 109 dopo Cristo, pensò bene di far aggiungere al
vecchio tratto interno (Benevento-Venosa- Taranto-Brindisi), una
scorciatoia di 351 chilometri che oggi unisce meraviglie venute su
con i millenni: Troia con la sua cattedrale; il mondo folle di
Federico II; Canosa di Diomede, fascinosa da sempre con roba
normanna del Mille e quella sua tomba di Boemondo, figlio di
Roberto il Guiscardo, che slarga l' orizzonte e apre il mare fin
giù in Terra Santa, ché pellegrini e crociati spesso da qui
passavano per poi imbarcarsi, superate Bari ed Egnazia, da
Brindisi. Ed è quindi a Benevento - da perlustrare con calma per
la sua lunga storia - che l' Appia si duplica. Sapendo che,
sperso nella campagna tra Benevento e Canosa, sull' Ofanto, c' è
un ponte romano dell' Appia sopravvissuto ai tedeschi e al
terremoto che qui in zona ne hanno fatti fuori assai, uno s'
intigna per trovarlo per cercarvi suggestioni alla Goethe. E si
ritrova a far la parte del Gabibbo. Il ponte c' è. E' anche sperso
nella campagna, seppur mal circondato da fabbriconi. Ma a vederlo
stringe il cuore. Lo bloccano da una parte e dall' altra una
decina di enormi cubi di cemento messi lì da tempo che i
rampicanti tentano di conquistare. Invece di un cartello che ne
racconti la storia, ce n' è un altro, già mezzo andato, che fa
cronaca: "Comune di Canosa di Puglia. Restauro del Ponte Romano.
Finanziamento Regione Puglia, Assessorato al Turismo e Beni
culturali. Importo lavori lire 547.135.245. Cofinanziamento della
Comunità Europea". Con tanto di nomi di progettisti e direttore
lavori che, se servono, sono scritti lì e chiunque può chieder
conto di quel mezzo miliardo. Tra Benevento e Canosa i semafori
danno contemporaneamente il verde e il rosso. Le frecce indicano
in direzioni opposte le stesse località. Muraglie di immondizia
sposano cartelloni stradali scrostati per un trionfo trash. Questa
tra Minturno, Capua e Canosa è davvero l' Appia Marcia: il
percorso, verde, era bellissimo, andrebbe solo scrostato dello
schifo che gli hanno appiccicato addosso. Oppure bisognerebbere
inventarsi un Jorge Amado che riesca a far poesia della strana
religione di qui e di questo suo pantheon esibito lungo l' Appia,
fatto di insegne fastose ed enormi, di statue smaltate di Padre
Pio a grandezza naturale con i sette nani venduti in blocco tra
vasi e carriole, di bufale di cartapesta che celebrano il prodigio
contemporaneo della mozzarella più buona del mondo. E poi, però,
lasciare tutto così: una sala pazza del "lungo museo dell' Appia"
che racconti per bene il disastroso, umiliante passaggio, nel
ventesimo secolo, dalle antiche dignità urbanistiche della civiltà
contadina allo sfrontato consumismo mezzo tivù e mezzo foratini. A
Canne della battaglia, pochi ruderi, bastano ad ambientare l'
antico match Roma-Resto del Mondo con capitan Annibale. Da una
parte Roma, stanca di dar retta ai temporeggiamenti di Quinto
Fabio Massimo, dall' altra Annibale e il suo esercito bianco e
nero con i cavalieri tunisini di Cartagine, i libici nomadi della
Numidia, gli altri africani ben corazzati, ma anche i frombolieri
delle Baleari, i fanti della Gallia e dell' Iberia, i Celti...
Risultato: 48 mila morti a seimila; e le ossa dei romani, chiunque
scavi le trova ancora. Di Bari - ai tempi di Roma niente di che,
meravigliosa solo dopo, dal mille in poi - si vede la periferia
che continua a crescere nutrendosi del mare di ulivi che la
circonda. Egnazia è sulla costa verso Brindisi. Rieccole le donne!
Fanno sognare Orazio che, presa una buca da una pugliese bugiarda,
se ne viene tutto solo grazie a chissà quale meraviglia di sogno.
La frase più osée della satira in cui raccontò il viaggio ("il
sonno mi sorprende con la mente a Venere/visioni di libidine
sporcano allora il mio ventre supino e la veste da notte") fu
tagliata via nell' edizione deluxe fatta apposta nel 1816 per la
duchessina di Devonshire. Niente sesso - siam sacerdoti - anche
per i preti di Syria, la divinità orientale che aveva un gran bel
tempio qui a Egnazia, sulla costa pugliese. Il sesso, però, quei
religiosi che si erano tagliati via tutto per amore della dea, lo
organizzavano a base di orge per i loro fedeli, a far da lieto
fine ai riti di qui. Ed eccola anche Brindisi del porto mitico. E
il mondo è romano, ma da qui l' Egeo entra in Puglia, bagna Roma.
S' imbarcavano qui le legioni per l' Illiria, la Macedonia, l'
Asia Minore. E sbarcavano qui i cervelloni greci che a Roma, chi
se lo poteva permettere cercava per farne precettori dei suoi
figli. Anche qui più giri, più leggi, più parli, più sai: il suo
museo fastoso aiuta; altri ce ne vorrebbero a raccontare l'
Adriatico di qui e la via Egnazia che, di là dal mare, proseguiva
identica all' Appia, una transbalcanica su su fino a Salonicco.
Che Taranto, un tempo abbia avuto una struttura urbanistica ben
ordinata, firmata Ippodamos (uno schema a scacchiera che
sperimentò per Olintos, vicino Salonicco ma che poi dilagò ovunque
nel Mediterraneo: da Atene fino a Napoli, Paestum, Agrigento...),
solo gli scavi e i documenti lo fanno capire. Oggi Taranto è
barricata dietro una periferia di palazzoni che solo una volta
espugnata - e conosciuto il Museo degli ori e della Magna Grecia e
l' Acropoli e certi squarci di mare improvviso - ti fa capire
quant' era bella, e come sarebbe facile farcela tornare. Il
cemento nuovo nasconde il cuore antico delle città che trovi
tornando in su, sul tratto della prima Appia. Le vedi sui
cucuzzoli, sai dalle guide che nascondono tesori, ma spesso li
nascondono talmente bene, blindate come sono dietro palazzetti
anni ' 60 che è difficile venga voglia di fermarsi. Sotto, sull'
Appia vicino a Massafra, ognuno fa quel che vuole. A farne
"segnale forte" in zona c' è l' Hotel Appia Palace, un mastodonte
rosa metà Beaubourg-metà Fuenti, che ti fa premere l'
acceleratore. E ti accorgi solo troppi chilometri dopo di quanta
bella roba ti sei perso. In Italia, a lanciare un sogno, c' è
sempre il rischio che ti venga usato contro. A dire, per esempio,
che l' Appia - con la sua storia, la nostra storia, le sue
meraviglie - meriterebbe almeno un po' di orgoglio e lo stesso
rispetto, e cure, dell' Autostrada del Sole, c' è sempre la
possibilità che sia l' Autostrada ad adeguarsi all' Appia. E che
la rimpinzino come una serata tivù di spot e di cartelloni e di
neon e di bufale di cartapesta e di Padri Pii che saettano
benedizioni da casello a casello. Eppure...
DIDASCALIA:
Qui accanto, il Casale di Santa Maria. A destra, i resti della
Torre Appia prima del crollo nell' 85 Sotto, tombe al quinto
miglio della Regina Viarum Antonio Cederna Adriano La Regina
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