Gli Optional
A.A.A.Altri articoli di produzione propria
TESTATA:
REPUBBLICA
DATA:
11/08/1999
PAGINA:
23
SEZIONE:
CRONACA
OCCHIELLO:
Lecce, prima di greci e romani c' erano gli Italici che hanno
lasciato ricche testimonianze artistiche. Nel II millennio la
cultura sub- appenninica si mischia a quella egea. Un vero melting
pot
TITOLO:
Magna Grecia, la vera storia tra computer e impronte digitali
Le
accuse del professore D' Andria: "Ci ha rovinato Winckelmann
e
tutta la banda neoclassica che ha trascurato Dauni e Messapi"
AUTORE:
dal nostro inviato SERGIO FRAU
TESTO:
LECCE - "...Dia retta: a noi ci ha rovinato Winckelmann...".
Prego, professore? "Ma sì, lui, Canova, tutta la
banda
neoclassica... Poi ci si sono messi pure i romantici sempre
a
caccia di Bello, da Goethe a Ruskin, a sdilinquire solo per
la
roba greca e romana. Tutto il resto, per loro, non esisteva,
non è
mai esistito. E così hanno finito per influenzare gli
studi d'
approccio al mondo antico. O era greco, o era romano. Oppure
non
era affatto. Noi, ancor oggi, paghiamo lo scotto di quell'
impostazione, più poetica che scientifica, che ha distorto
per
anni la ricerca della Storia, quella vera". Si, ma i Greci,
professore... "Guardi, guardi qui... Grazia, per favore,
ci chiami
la Magna Grecia?". (Grazia è Grazia Semeraro ricercatrice
e
docente alla facoltà di Lecce dove lui, il professore,
Francesco
D' Andria è ordinario di Archeologia e Storia dell' Arte
greca e
romana). Grazia clicca e appare l' Italia del Sud, con Puglia
e
Basilicata in evidenza tutte punteggiate di pois gialli, a
dominare lo schermo di un computer . "Ora li conti quei
pallini
gialli. Metaponto, Taranto, Egnathia, Brindisi... Quattordici
città della Magna Grecia, strabilianti ed arcinote. Ma
ora provi a
contare questi altri. Grazia, per favore, chiamiamo gli Italici
adesso". Appena Grazia clicca, la stessa porzione d' Italia
si fa
rossa rossa di una miriade di altri puntini, stavolta rossi.
"Provi, provi a contarli! Glielo dico io: 260! E sa cosa
sono? Gli
insediamenti di chi c' era già: i Messapi, i Dauni, i
Peucezi...
C' erano e continuano a esserci anche quando la Grecia d' Italia
si fa grande per tramutarsi in Magna Grecia...". Non è,
professore, che lei ora fa il Bossi di Puglia? "Lasci stare
il mio
cognome... Mi chiamo D' Andria come la città, vivo a
Lecce, ma
sono di Taranto. Ad Andria c' erano i Dauni. A Lecce i Messapi.
A
Taranto i Greci di Magna Grecia ma molto più tardi. Tutte
e tre
queste etnie, comunque, arrivarono dal mare: solo che le prime
due
le incontriamo già intorno al Mille a.C., per gli altri
bisogna
aspettare quattro, cinque secoli. Come vede non punto alla Puglia
autoctona: in tutti ci sono elementi greci e micenei ma non
solo
di quei greci strafamosi che hanno monopolizzato la storia.
Noi
stiamo mettendo da anni dati nei computer. E i computer, ormai,
parlano anche da soli. E dicono che Winckelmann & C. hanno
sbagliato. Bisognerebbe prenderne atto: non è possibile
che
studenti e studiosi, ancora oggi, sbarrino gli occhi quando
gli si
nomina la Civiltà Iapigia". Prego? "Vede, anche
lei... Dunque:
alla fine del II millennio, dal Gargano fin giù al Capo
di Leuca,
avviene una di quelle fusioni tipiche del mondo antico: la cultura
sub-appenninica si mischia a quella egea arrivata con navigatori
micenei e genti dell' Illiria. Un vero e proprio melting pot.
Un
paio di secoli dopo cominciano a differenziarsi i Dauni a nord,
i
Peucezi al centro, i Messapi al sud... E' tutto qui, in questa
schermata". Già, il computer... Il professore da
anni ha messo in
piedi - grazie ai soldi di una legge così così,
la 64; all' aiuto
del Cnr e di altri enti di buona volontà - un portento
di facoltà
ipertecnologica. Che mixare archeologia e nuove vie fosse una
sua
passione lo dimostrò qualche anno fa, quando spedì
alla Polizia
Scientifica del Ministero dell' Interno cocci e capolavori di
ceramica lavorata perché ne fossero studiate le impronte
digitali
lasciate dagli antichi vasai che li avevano realizzati. Un'
indagine mai tentata prima che finì su Science e da lì
rimbalzò a
far titoloni sui giornali di tutto il mondo. Anche perché
venne
fuori che quel campione esaminato (400 impronte su 125 vasi,
provenienti tutti dal quartiere delle officine di Metaponto)
era
stato fatto da soli quattro frenetici, laboriosissimi, vasai.
Oggi, su quella strada, la squadra archeologica della facoltà
che
comprende accanto a ricercatori e restauratori anche ingegneri
e
fisici, è una vera task-force superdotata in grado di
indagare a
fondo su ogni caso che gli scavi creino. Certo, c' è
tutto quello
di cui la ricerca tradizionale ha bisogno - una biblioteca di
25
mila volumi, un atelier dove si costruiscono persino vasi del
periodo neolitico, un fior di cervelloni che sa tutto di fonti
classiche e di monetazione antica - ma, lì a fianco,
il futuro
esiste già: tre banche dati integrate aggregano e disaggregano
a
volontà dati grafici, rilievi cartografici, schede e
immagini di
reperti che la terra di Puglia e Basilicata ha restituito finora.
E se attraverso quelle schermate è possibile resuscitare
necropoli
e muraglie di antichi abitati, ci pensano poi altri dipartimenti
a
far vivi chi vi abitava. E' bastato un mucchietto d' ossi, ad
esempio, trovato in un villaggio dell' età del ferro
(IX-VII
a.C.), a Otranto, per sapere che quei signori mangiavano
soprattutto buoi, pecore, capre e maiali macellati in zona,
e che
se la caccia andava bene c' erano a tavola anche cervi, volpi
e
cinghiali (squartati e spartiti, forse, sul posto della cattura),
ma anche che, a sorpresa, quegli otrantini d' antan - stando
ai
dati - non gradivano il pesce. Per tenersi buone Demetra e
Persefone, dee della fertilità della terra, nell' età
arcaica e
fino all' ellenismo, bisognava invece offrire datteri e melograne
(che allora erano vere e proprie costose delikatessen visto
che
arrivavano da fuori) ma anche fichi, olio e uva, o impasti cereali
molto molto simili ai taralli: anche questo è saltato
fuori
studiando, al microscopio e nel laboratorio di chimica, le
poltiglie sepolte di un Santuario di qui. Si è capito
così - dai
frutti - che il culto e le cerimonie più coinvolgenti
dovevano
avvenire d' autunno, quando Persefone stava per tornare all'
inferno, per resuscitare poi, l' anno dopo, con la primavera
e la
natura. Altro programma, altro file, altra sala, altra équipe:
l'
ipertesto per vocabolari archeologici che scheda, secondo un
codice ben preciso, i cocci di ceramica. Grazia Semeraro ci
ha
fatto il giro del Mediterraneo nello studiarne e catalogarne
11
mila. Se li porta bene: a lasciarla raccontare tira fuori da
quei
reperti che, cliccando, appaiono sullo schermo, la storia delle
immigrazioni, dei commerci, delle rotte più battute:
"Anche qui
abbiamo cercato di non privilegiare solo il Bello dei vasi attici
più preziosi, quelli che i ricchi di allora si portavano
nella
tomba per far capire subito, nell' aldilà, che meritavano
rispetto: un frammento di ciotola monocroma o di anfora, a prima
vista insignificanti, possono spiegarci molto, molto di più".
E D'
Andria, di rinforzo: "Io, proprio dai frammenti di ceramica
saltati fuori nel porto di Otranto, ho trovato i kossovari,
ma
quelli di 2800 anni fa..." ( vedi box). Così quando
si entra, poi,
in un altro laboratorio ancora - dove il sogno dei cartografi
pazzi di Borges, quelli che smaniavano per rappresentare il
mondo
in scala uno a uno, si è fatto realtà - ti si
apre il cuore a
vedere, grazie alla fotografia aerea combinata con l' elettronica,
tutte le aeree archeologiche in osservazione nelle due regioni.
Zoomando sulla necropoli di Arpi, però, il cuore ti si
stringe di
nuovo quando l' équipe che lavora al programma - un giovane
ingegnere, una giovane specialista in conservazione dei Beni
culturali e un giovanissimo tecnico - cliccano per chiamare
il
file "Arpi-Tombescavillegali": sono 2905 i sepolcri
frugati e
depredati dai tombaroli che, ormai, lavorano persino con bulldozer
e caterpillar, triturando tutto quel che non si vende. Arpi
- come
un po' tutta la Puglia, ancor oggi - negli anni passati è
stata
terra di rapina archeologica. Nel ' 84 un' intera tomba tutta
dipinta fu scoperta, ma in un tir che viaggiava verso la Svizzera.
Centinaia di vasi fuggono sotto le merci stoccate nei camion,
o
tra le ceramiche nuove di Grottaglie. Solo nel ' 93 sono stati
confiscati un migliaio di vasi trafugati illegalmente. Tutt'
intorno ai laboratori della facoltà c' è Lecce.
Splendida. E
simpatica dei 25 mila studenti che gravitano intorno alla sua
università. A circondarla, poi, un territorio che basta
scavare
per trovare. Solo negli ultimi 15 giorni: a Vaste è saltato
fuori
un luogo dove sacrificavano i cani; in campagna una stele
messapica ben scolpita; nell' aia di una masseria un capitello
dorico fatto a fette, trasformato chissà quando in pavimento...
E
dentro, in facoltà, clicchi e sai. Clicchi e fai: un
paradiso
virtuale che andrebbe replicato una ventina di volte in giro
per
l' Italia per star più tranquilli. Proprio alla fine,
poi, una
domanda in più - persino inutile - permette una scoperta
archeo-
informatica perfetta per chiudere. Professore, lei passa molte
ore
al computer? E lui, stupefatto: "Io? Io non lo so usare
affatto.
Figurarsi, non so neppure scriverci!".
DIDASCALIA:
Frammento del sarcofago delle navi ricostruito nel disegno a
destra Sotto, impronte rilevate su un vaso. Sopra (a destra)
la
nascita di Dioniso e anfora paleocorinzia
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