Gli Optional
A.A.A.Altri articoli di produzione propria

TESTATA:
REPUBBLICA
DATA:
28/3/1999
PAGINA:
31
SEZIONE:
CULTURA
OCCHIELLO:
LA NUBIA IN MOSTRA A TORINO
TITOLO:
I FARAONI NERI
Due millenni di grande arte tra Egitto e Africa
SOMMARIO:
Era il crocevia di cento carovaniere: arrivavano dal cuore del
continente per vendere avori e dal Mar Rosso, cariche di incensi.
Un Olimpo più arruffato di quello egizio, quasi un paradosso
sacrilego con tutti quei suoi Dio Rospo Dio Serpente, Dio
Scorpione
AUTORE:
di SERGIO FRAU
TESTO:
Torino - I Faraoni, stavolta, hanno labbra grosse, nasi camusi,
capelli riccioluti. E sono neri. Gli animali sacri, di solito
elegantemente affilati, diventano strani bestioni ancora
accucciati all' egiziana, ma sbozzati nella pietra con un
espressionismo tutto africano. Persino i gioielli - che si fanno
più vistosi con pietre più grosse, ceselli più pazzi - erano per
donne grandi forme, per uomini con i muscoli, tutta roba che più a
nord, lungo il Nilo, era stata levigata via per millenni dalle
statue per farle più vicine a Dio. E' un "Egitto" stravolto,
sublime e bastardo, quello che è appena arrivato alla Promotrice
Belle Arti di Torino per la mostra Templi d' oro sul Nilo
inaugurata ieri. Quando è partita da Parigi - dall' Institut du
Monde Arabe si chiamava semplicemente Sudan. E infatti il nocciolo
duro dell' esposizione arriva dal museo di Khartum, ma ha fatto da
calamita per roba ormai americana, tedesca, torinese. E sì, Torino
- grazie al suo ricchissimo Museo Egizio - ha potuto organizzare
una sezione di supporto con pezzi davvero straordinari (vedi box).
Per tutti, per millenni, quel che oggi è l' Egitto del sud e il
Sudan del nord, era la Nubia. Cominciava da Assuan, con l' Isola
Elefantina nel Nilo e la prima cateratta. Più giù Ramses II
costruì Abu Simbel, i cui colossi servivano anche a far capire a
quelle genti meridionali che lì c' erano le frontiere: non si
azzardassero a superarle! Regola che valeva a senso unico, però,
soltanto per i nubiani, perché mille volte l' Egitto faraonico
calò in armi a sottometterli. Del resto ne valeva la pena: "nub"
voleva dire oro, e la zona ne era talmente ricca... Ed era anche
il crocevia di cento carovaniere: quelle che arrivavano dal cuore
dell' Africa per vendere pelli maculate mai viste, piume di
struzzo, legni pregiati, avori; e quelle del mar Rosso con gli
incensi per i templi e per le regge; e quelle degli animali
esotici, pigmei compresi venduti alle corti come scimmiette per
stupire gli ospiti. Così la Nubia, ricca com' era, ogni volta che
l' Egitto aveva problemi suoi, interni, rifioriva a tal punto che
arrivò persino ad utilizzare quel suo oro per laminare gli edifici
più santi. E questa mostra racconta soprattutto quei momenti di
rinascita: il Regno di Kerma (2000-1500 avanti Cristo), quello di
Napata (intorno al mille, con i suoi re che tra 700 e 600 a.C. ce
la faranno a diventare faraoni, costituendo così la XXV dinasta d'
Egitto: i Faraoni Neri) e quello di Meroe ( 270 a.C-350 d.C) con
l' arte più pazza: un barocco ancora egittizzante ma scombussolato
dai furori dell' ellenismo, dalle regole di Roma e dalle impennate
della scultura africana. Ed è proprio con Meroe, l' ultimo regno
che seppellì i suoi morti dentro nuove, strane piramidi, che si
apre la mostra. Se uno non se lo trova davanti, mica è facile
immaginare quanto rispetto può incutere un ariete quando fa il
dio. Si spiega solo con il fatto che questo possente ovino in
granito piazzato ad accogliere i visitatori, per lungo tempo, giù
al sud, rappresentò Amone, era Amone, mille anni prima di Meroe...
Ma c' è un altro ariete, sulla sinistra entrando, un bestione
accovacciato che - con molto meno stile, con un manto che sembra
fatto di anguille attorcigliate - invece è lì proprio a
simbolizzare l' arte meroitica. Tutt' intorno, in una vetrina che
scorre a nastro incavata nella parete, strane teste attonite dei
primi secoli dopo Cristo continuano a raccontare Meroe e il
pantheon in cui credeva: un olimpo ancora più arruffato di quello
egizio, quasi un paradosso sacrilego con tutti quei suoi Dio
Rospo, Dio Serpente, Dio Scorpione di cui parla in catalogo
Alessandro Roccati che quest' edizione italiana della mostra ha
curato. Lasciata la sala di Meroe è tutto un flash back, una
storia che i nubiani solo in parte scrissero con strani caratteri
che giusto 90 anni fa trovarono un loro Champollion in grado di
leggerli (Francis L. Griffith, nel 1909) ma che ora ne aspettano
un altro in grado di capirli. Bisognava vederli Sergio e Anna
Maria Donadoni, la coppia di egittologi più simpatica del mondo
(galeotto fu Ranuccio Bianchi Bandinelli, loro professore, una
quarantina di anni fa) davanti alle prime vetrine con le ciotole
del III millennio prima di Cristo, quelle che di solito si
guardano di sfuggita per arrivare presto agli ori e alle statue. E
riconoscere, affettuosi, quel che conoscevano già, scrutare
attenti la roba nuova, festeggiare con i ricordi ciò che trovarono
loro scavando giù, anni fa. E grazie ai loro occhi innamorati, in
quegli oggetti minimi si animano i decori graffiati con punte di
spillo, elaborati come reticoli di banconote, o dipinti con
geometrie mai viste, o movimentati dai primi animali del mondo.
Luccicano alcuni di un nero brillante. E contrastano con statuette
bianche che, anch' esse, raccontano la storia prima della storia.
Prima di Sudan, prima di Nubia, la terra a Sud della prima
cataratta si chiamò Kush. Così, con questo nome, finì nella
Bibbia. Kerma ne fu la capitale con dei sovrani che tennero il
potere per circa un millennio e gli scavi ce la stanno restituendo
un po' alla volta anche se persino i palazzi più fastosi -
dipinti, incastonati di ceramiche colorate - lì erano in terra
cruda e ci sono poche speranze di rintracciare rovine conservate
bene come solo l' Egitto ha saputo fare. Pezzi di quei decori
(mica e avorio e oro per far più belli anche i mobili) sono
esposti ed evocano soltanto gli antichi splendori. Con la XVIII
dinastia in Egitto si riparte alla conquista del Sud. Nel 1500
a.C. Kerma venne distrutta e la sua necropoli abbandonata. Anni
terribili quegli anni. Incaprettati, o in bocca a leoni che se li
stanno mangiando, o calpestati dai sandali d' oro dei Faraoni, o
catturati e tenuti tutti insieme per la testa, a mazzo, come
ravanelli. Ma anche scolpiti con un buco in gola per infilarci la
lancia... Certo l' immagine che del nubiano ci ha lasciato in
quegli anni l' Egitto faraonico sa di sangue. E a sentirsela
tradurre la stele di quarzo grigio di Sesostri III (1850 a.C.) che
c' è in mostra, conferma la sensazione: "(I nubiani) non sono
gente da rispettare. Sono miseri dal cuore spezzato. Ho catturato
le loro donne, ho preso i loro servi, sono salito ai loro pozzi,
ho colpito le loro bestie, ho sradicato il loro orzo, vi ho
appiccato fuoco...". Spiega Roccati: "Sono le raccomandazioni per
tenere ben salde le frontiere: i rapporti tra Egitto e Nubia
ebbero sì periodi di calma ma ci fu bisogno di creare un poderoso
sistema di fortificazioni per impedire che dal Nilo quelle genti
risalissero a Nord a scombussolare le terre dei Faraoni". E invece
successe. Dopo 500 anni di tasse, tributi, corvée, e governatori
per conto dell' Egitto, intorno al 900 a.C., si crea un nuovo
principato a Napata, all' ombra di una montagna sacra, Djébel
Barkal. Alta come una piramide di Giza, ma decapitata, improvvisa
nel deserto, stupefacente con quei suoi pinnacoli di roccia,
piazzata scenograficamente a un chilometro e mezzo dal Nilo,
Djébel Barkal ebbe presto un suo tempio santissimo e Amone
benedisse da lì la nuova avventura dei nuovi signori nubiani.
Funzionò tutto talmente bene che dal 716 al 656 furono loro a
governare su Nubia e tutto l' Egitto: li chiamarono anche Dinastia
Etiope alla greca, creando una gran confusione in tutti coloro che
non tenevano a mente il dizionario dove aithiopes vuol dire faccia
bruciata e valeva dalla Nubia in giù. C' è gran bella roba in
mostra di quegli anni: si adattano ai canoni eterni d' Egitto ma a
modo loro. E quel gusto gli rimane addosso, dentro, anche dopo,
quando - finito il sogno faraonico - si ricomincia da Meroe con un
nuovo regno. Gran finale queste sale di Meroe che chiudono il
flash back senza arrivare a nessun lieto fine: uno spazio è
destinato ai tesori tombali ritrovati (collane, amuleti, Isidi
microscopiche come le madonnine dei nostri battesimi, ma anche
ditali d' oro per le dita dei piedi e delle mani), un altro a
sculture del tipo di quelle che diedero la scossa alle avanguardie
del ' 900 (una testa sembra un Modigliani ingrassato; un corpo di
donna, in arenaria stuccata, un falso Arturo Martini), e tutto
cambia sempre più. L' Egitto scompare quasi: nei bronzi, negli
argenti è ormai arrivato l' ellenismo, e Roma. Arriverà anche
Cristo e, poi, Allah a cancellarlo. Quanti, però, di quegli
antichi artisti nubiani scappando via - non solo dagli egiziani ma
anche dai persiani, dai greci, dai romani - portarono la loro
cultura e i loro animali sacri in giro per l' Africa, è tutta un'
altra storia, un' altra mostra ancora da fare. Ma l' archeologia
che dovrebbe rifornirla, raccontarcela, è ancora - da sempre -
soltanto agli inizi.
DIDASCALIA:
A sinistra, statuette trovate nella tomba di Taharqa, faraone
nubiano; accanto, statua che a Meroe illustrava l' apoteosi del
faraone divinizzato; sotto, una scultura di terracotta di duemila
anni fa trovata nel 1960
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