Gli Optional
A.A.A.Altri articoli di produzione propria

TESTATA:
REPUBBLICA
DATA:
29/4/2000
PAGINA:
42
SEZIONE:
CULTURA
OCCHIELLO:
LE PAROLE PIU' ANTICHE DEL MONDO
TITOLO:
Così la Terra cominciò a parlare
SOMMARIO:
Scavando nell' etimologia del greco, del latino e del sanscrito,
Giovanni Semerano ha rintracciato la madre di tutte le lingue.
Arriva dalla Mesopotamia
AUTORE:
di SERGIO FRAU
TESTO:
Firenze - Qualcosa di nuovo, anzi di antico. Antico e
sorprendente. Mettiamo Adamo... Di solito si parte da lui e si
viene avanti, fino a noi. A un certo punto, quando racconta dell'
Eden, anche il professor Giovanni Semerano s' imbatte in Adamo: ma
a quel punto ti sorprende e va all' indietro: prima nell' ebraico
dove "adam" vuol dire uomo e "dama" terra. Poi, scava scava, si
spinge ancora più in là, e finisce per arrivare all' ugaritico di
"adam", ovvero "umanità". Anche la sua Eva è molto più antica
della Bibbia, c' è da sempre: "Ama" in sumero significa madre, e
siccome con la pronunzia accadica la emme si legge "w", eccola già
presente nel nome "Awa, Ewe"... E Zeus, il dio trionfante degli
inizi? Il professore - analizzando il beotico Deus, il miceneo
Diwe, le basi delle lingue omeriche con Zen e Zena- ne - fa il
punto d' arrivo di termini molto, molto antecedenti come ziu o
zinnu e zananu ( pioggia, piovere) anch' essi termini accadici che
ben quadrano con l' appellativo che al primo degli dei affibbiò
prima Omero ("adunatore di nubi"), poi Roma ("Giove pluvio"). E
con Crono suo terribile padre, allora? Finora al suo nome non fu
mai data una spiegazione plausibile. (La storia del tempo è
infatti roba recente, greca). Il professore, invece, ci si è messo
al solito di buzzo buono: ha perlustrato Omero, vi ha rintracciato
un Crono dalla falce ricurva, simbolo della Luna. Ha controllato
poi in Macrobio, ha consultato Ovidio, e - scoprendovi una Crane
divinità latina che qualcuno ha identificato nella Dea Luna - oggi
è finalmente certo che sia Crono che Crane, siano imparentati da
vicino con il "cornu" latino, che a sua volta ci arriva dall'
accadico "qarna " (corna, anche quelle della Luna). E così via,
parola per parola: il vecchio mondo tutto nuovo... Un tempo nel
VII secolo a. C., per incontri così, ci si doveva sbattere fino
alla sacra Sais, in Egitto. E si aspettava. Si aspettava. Se poi,
a qualcuno dei sacerdoti di lì - ultimi depositari della grande
sapienza dei faraoni e dei loro archivi - girava bene, potevi
magari avere con uno di loro uno di quegli incontri che ti
spalancano la testa, ti aprono mondi, ti forniscono parole chiave
per entrare nella memoria del passato. Giovanni Semerano, invece,
abita a cinque minuti da Santa Maria Novella, in un appartamento
al pian terreno circondato da diecimila libri ("Tutti nuovi, tutti
comprati dopo l' alluvione che mi portò via nel fango quelli che
avevo allora") e accudito da Fely, una signora filippina che -
dice lui - è diventata, ormai, una vera rabdomante per trovare i
testi che gli servono, quando la casa gioca a nasconderglieli d'
improvviso. E' minuto, sorride spesso, parla a voce molto bassa,
modulando però, con sacralità, le importanze delle sue parole. E
racconta, così, cose che ha studiato per tutta una vita. E che
strabiliano. Fa venire in mente quel drappello di vecchi della
Yourcenar che, tenendosi per mano, ti portano - sommando tutte le
loro età - alle sapienze degli antichi. Entrare con il professore
nel Pantheon degli antichi dei, stupisce fin dai primi incontri.
E' come se tutti loro ti venissero presentati per la prima volta,
con il loro vero nome. I Titani e i Giganti, ad esempio. Che
fossero figli della Grande Madre Terra, si è sempre saputo ma fa
un certo effetto sapere che "tit" in aramaico vuol dire "terra
argillosa" e che "gea", la terra dei greci che fa da base a
Giganti, sotto sotto già nascondeva "ga", terra in sumero. O che
il nome Cadmo figlio del fenicio Agenore, a sua volta figlio di
Poseidone dio del mare, riserva sorprese: lo ritroviamo a diverse
latitudini prima e dopo che fondi Tebe. "Qadmu" in accadico è il
capostipite, "predecessore", "l' antico". (Anche in ebraico, per
dire origine, si usa "qadma"). E sua sorella Europa che all'
inizio indicava l' Occidente? Dall' assiro "erebu", "erabu" ovvero
offuscarsi, occidente. Ovvio, no? Del resto sono tutte parole di
1000, 1500 anni precedenti alla lingua di Omero. Dietro la sua
aria serena il professore cela una vera rivoluzione: è lui -
pugliese di Ostuni, classe 1911 - l' uomo che, ormai da anni, qui
in Italia sta uccidendo l' "Indo-europeo", la teoria diffusionista
nata a fine Settecento che - partendo dalle assonanze che la
lingua sanscrita (allora appena scoperte) mostrava con molti
idiomi mediterranei ed europei - ipotizzava quella matrice indiana
non solo per le impalcature linguistiche della nostra civiltà, ma
anche per la struttura culturale delle prime genti giramondo che,
di conseguenza, sempre da lì - dalle terre oltre il Caucaso -
venivano fatte arrivare. In mancanza di meglio la teoria - grazie
soprattutto a quelle somiglianze con il greco, il latino, il
germanico - divenne legge. Gli studiosi tedeschi i suoi primi
custodi. Trionfò così, di pari passo con la Germania, per più di
due secoli. E continuò a dominare dappertutto - nei libri e sulle
cattedre - persino quando, nella seconda metà dell' Ottocento, il
ventre di fango della Mesopotamia cominciò a restituire a decine
di migliaia quelle tavolette graffiate con piccoli cunei incisi,
in bella scrittura: una civiltà prima delle civiltà, di molto
antecedente al IX secolo dei sanscriti. Così, ancor oggi, spesso
si tiene buono quel mitico imprinting indo- europeo ormai scaduto.
Cosicché "la glottologia, nonostante i suoi progressi, non ha
finora permesso di far luce su migliaia di nomi di antichi popoli,
di luoghi, di città, di mari, di fiumi che si affollano nella
storia delle civiltà antiche...". Poche cose riservano sorprese
come il passato: grazie a quei graffietti cuneiformi, negli ultimi
decenni, si è appurato che già nel 2300 a.C. la lingua dei cunei
dominante il mondo - l' accadico-sumero, l' inglese di allora -
aveva permeato attraverso le conquiste di re come Sargon il
grande, i suoi commerci, gli scontri e i viaggi, non solo l'
intero Mediterraneo, ma anche, con un effetto domino prolungato
nei secoli, gli Sciti del Mar Nero, le pianure della Russia, le
distese dell' Europa centrale, le vallate verso l' India.
Continuerà a farlo più di mille anni dopo soprattutto con i Siro-
Fenici prima (e il loro linguaggio di mare, e quel loro alfabeto
che costituirà l' impianto per l' alfabeto di Omero), e con i
Greci poi che contagiarono di poesia e cultura mezzo mondo. Il
Sanscrito degli indo-europei nacque, di là dal Caucaso, sempre da
quei contagi recenti: non può essere dunque quella lingua la madre
di tutti i nostri idiomi. Al massimo una sorella... Per questo,
quaranta anni fa, il professore ha dato il via alla sua paziente,
sterminata, puntigliosa, esaltante caccia grossa al senso nascosto
nelle parole. Trovandolo. Del resto aveva cominciato già
Socrate... Lo testimonia Platone nel Cratilo: "Socrate: Sapresti
dirmi perché il fuoco si chiama "pyr"? Ermogene: Per Zeus, proprio
no. Socrate: Allora bada, ho un sospetto a tale riguardo: penso
che gli Elleni, specie quelli che vivono sotto il dominio degli
stranieri, molte parole le abbiano prese da essi. Ermogene: E
allora?. Socrate: Se uno cerca le ragioni di questi nomi in base
alla lingua ellenica e non in base a quella dalla quale derivano,
tu capisci che non ha via di uscita...". E lui, il professore,
questo ha fatto. Dice: "Le parole sono come le stelle: le vedi
brillare ancora e magari sono morte, invece, da milioni di
anni...". O anche: "Ormai è certo: senza la Grecia d' Asia, terra
di feconde esperienze e contatti caldei, la Grecia d' Europa non
sarebbe mai stata la Grecia". Con in testa convinzioni come
queste, Giovanni Semerano, già cinquant' anni fa - quand' era
soprintendente alle Biblioteche della Toscana, e studiava tanto, e
frequentava Bernard Berenson, e disquisiva di etrusco con Re
Gustavo di Svezia - si è immerso nelle parole, nelle loro
etimologie primigenie. Milioni di parole che ora gli brillano
intorno, tutte insieme, vivissime: dalle più antiche - quelle
accadico- sumere, appunto - fino alle greche, alle latine, all'
italiano, al tedesco di oggi, all' inglese. Ne ha dato conto anni
fa in una poderosa pubblicazione per l' editore Olschki. Ne parlò
tutto il mondo. La Chicago University lo volle tra i suoi saggi.
Uomini che fanno cultura come Umberto Galimberti, Luciano Canfora,
Massimo Cacciari lo vedono come l' amico sapiente da interpellare
per un' etimo oscuro. (Cacciari, nel suo Arcipelago, edito da
Adelphi, si sdebita con lui in nota: "Alle straordinarie ricerche
di questo solitario devo moltissime indicazioni e suggestioni per
tutta la dimensione etimologica di questo libro"). Ed Emanuele
Severino, mai tenero, per i libri di Semerano si è sbilanciato con
la definizione: "Una festa dell' intelligenza". Un' unica
stroncatura gli arrivò da Salvatore Settis, che però dovette poi
incassare dal professore una lettera, lunga e staffilante, che lo
lasciò senza parole. Sei anni prima che i Lincei in pompa magna
attribuissero il bronzo di Riace più anziano a Pitagora, scultore
calabrese, lui l' aveva già scritto. E viene data per buona la sua
traduzione delle lamine di Pyrgi, uno dei documenti più
importanti, lunghi e difficili che gli Etruschi ci abbiano
lasciato. Un cervellone, insomma... Ora sta dando gli ultimi
ritocchi alla prefazione di Apeiron, un equivoco millenario alle
origini del pensiero greco, un altro libro fantastico che uscirà
in autunno a dar scossoni e scombussolare le certezze di chi si è
occupato di filosofia finora( vedi box). E' un saggio del tutto
autonomo che, però, per essere gustato appieno, presuppone la
conoscenza dell' intero impianto etimologico messo su dal
professore. Quindi - se si amano queste cose - ci si metta in
gruppo, ci si quoti in comitiva ( e si facciano, poi, i turni per
le consultazioni), si costringano i presidi di facoltà a
comprarlo, le biblioteche di quartiere ad averlo... ma alla fine
si tirino fuori le 612 mila lire che costano i quattro poderosi
tomi finora pubblicati (Le origini della cultura europea, tutt'
insieme pagg. 2.331). Per stamparli - con tutti quegli svirgolii,
gli asterischi, i segnetti che le antiche parole accadiche,
greche, ebraiche esigono - il suo editore, Olschki, ha dovuto
comprare caratteri apposta, all' estero. E in questi casi nessun
ministero in Italia - finora - aiuta un editore che ama la qualità
ma che, certo, non può farsi uccidere da essa... Scrive il
professore: "Nessuno, fino a qualche decennio fa, avrebbe potuto
supporre una realtà come questa che sta bruciando ormai ogni
vanità eurocentrica e che restituisce al Vicino Oriente, anche sul
piano linguistico, il giusto riconoscimento di un' inesauribile
matrice". E dice anche:" Il Castello indoeuropeo non regge più: è
l' intero universo delle voci comuni che è geneticamente
riconducibile alle civiltà di Sumer, Akkad, Babilonia, Ebla,
Ugarit, Tiro, Sidone...". Salpare con il professore - su quelle
che furono le loro rotte, usando la loro lingua per capire quel
loro mondo ora nostro, zigzagando per queste sue pagine
sorprendenti - è un po' come navigare all' antica, quando era
ancora la costa - con le bizzarrie della sua natura - a farti da
guida, segnalandoti rotte, tappe e approdi. Viaggiando negli etimi
che lui ha catturato, ingabbiato e ordinato nei suoi libri-
dizionario e scuoiando via gli ultimi strati dalle parole greche e
latine con il suo affilato impianto sumero-accadico, tutto, d'
incanto, si fisicizza. Si fa materia, senso, e - proprio tornando
all' essenza, ai significati primordiali - stranamente, il mondo
antico diventa anche più comprensibile, più vero. Cosa unisce l'
Olimpo di Giove e le Alpi di Bossi a parte quel che solo i geologi
già sanno (e che cioè fanno parte di una lunga sola catena
montuosa, quella degli Acrocerauni)? Entrambi derivano il proprio
nome dalla comune matrice accadica che aggroviglia insieme halpu
(ghiaccio) e elepu (diramarsi). E Nilo? Neilos per i greci, Nilus
per i latini, anche il Nilo trova finalmente una sua spiegazione
nel babilonese più antico che per dire e scrivere inondazione
usava nilum. Arabia? Dal mediobabilonese del II millennio, "arbu":
deserto, luogo arido. Asia? Da "asu"(accadico) "luogo dove sorge
il sole, oriente". Persino dietro al Belgio si nasconde un'
etimologia accadica con quel "palgu" (canale) che in ebraico
diventerà "peleg" per scorrere fino al mare-pelagus dei romani. E
così facendo battezza di nuovo il mondo, e - quasi quasi - lo
ricrea, restituendo i nomi evocativi del primo significato a
tutto. Persino il corpo umano sembra trovare un senso nuovo.
"Mano" dice il professore "è una di quelle parole che hanno
sfidato i millenni. Ma non ha mai avuto un' etimologia. Ora, però,
sappiamo che nell' accadico manu significava calcolare, computare,
e che nell' aramaico manja era l' unità di misure equivalente a
480 grammi, giusto quanti una mano ne poteva contenere". E sia
parlandoci - ma anche soltanto leggendolo - si avverte anche
dentro di lui un magma incandescente, miscela esplosiva di
passioni, odii, antipatie, amori che - anch' esse - travalicano i
millenni e lo fanno contemporaneo di tutto ciò di cui parla.
Aristotele? "Spesso si confonde interpretando male le parole degli
antichi...". Platone? "Nel Cratilo fa danzare lo sciame delle
etimologie in un gioco vorticoso, superficiale, guidato appena dal
suono delle parole". E c' è Esiodo che, per lui, di tanto in tanto
"va cianciando di giorni fausti e infausti". Persino il Big Bang
della scienza più recente viene etichettato, con smagata
sufficienza di chi ne ha sentite tante negli ultimi 4000 anni,
come "pirotecnica invenzione ". Le distanze dei secoli, con lui,
così, scompaiono. Come quando Champollion, grazie a quelle sue
parole chiave, riuscì a forzare la memoria dell' Egitto per
restituircelo, attuale e pieno di vita. E c' è, forse, un po' di
se stesso - dell' isolamento che ha dovuto sopportare quand' era
ancora in mezzo al guado delle sue ricerche - quando a un certo
punto riporta le schegge affilate con cui fu immaginato Eraclito
in un momento di sfogo: "Sono Eraclito. Perché, idioti, mi tirate
su e giù? Non ho faticato per voi, ma per quelli che sanno
capire". O anche quando cita lo stesso Eraclito che sbotta così:
"Per me uno solo vale quanto moltissimi, se spiritualmente è il
migliore". Altri tempi...
DIDASCALIA:
Testa di un personaggio della dinastia di Accad, forse Sargon, da
Ninive
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