Gli Optional
A.A.A.Altri articoli di produzione propria
TESTATA:
REPUBBLICA
DATA:
29/11/2000
PAGINA:
49
SEZIONE:
CULTURA
OCCHIELLO:
Aprono domani le nuove sale del museo egizio
TITOLO:
EGITTO così torino rilancia i faraoni
SOMMARIO:
Dopo aver valutato costi economici e impatto sul pubblico il
ministero dei Beni culturali ha deciso. La prestigiosa collezione
rimarrà nella sua sede storica. In queste stanze Champollion
decifrò il "Papiro dei Re" ancora oggi il modello
di ogni
cronologia dinastica
AUTORE:
sergio frau
TESTO:
Loro due andrebbero inquadrati dal basso, ripresi da sotto in
su.
Poi zoomare, lenti, sul loro sguardo: azzurro, tenero,
compiaciuto. Come fossero affacciati sulla culla di un marmocchio
appena nato, una creatura fortemente desiderata, amata. Solo
un
cambio di prospettiva - una ripresa dall' alto - svelerebbe
la
sorpresa: l' esserino rannicchiato nella posizione del feto
che
Anna Maria Donadoni Roveri, direttrice del Museo Egizio di Torino,
e suo marito, l' egittologo Sergio Donadoni, stanno coccolandosi
con gli occhi, è tutt' altro che un neonato. Lo è
stato, certo. Ma
almeno cinquemila anni fa. Poi crebbe, e morì, e lo fece
nell'
Alto Egitto. Così, ora, è una mummia: una delle
prime mummie che
la terra calda e asciutta di laggiù ha restituito. Arriva
dal Sud
ed è del 3500 a. C. circa, quando ancora, i cadaveri
non si
aprivano e svuotavano (per tenerli poi, mesi, sotto salnitro,
prima di bendarli e seppellirli in sarcofago), ma a far tutto
ci
pensava solo la sabbia. Con lei funzionò a meraviglia:
la mummia
gemella che al British Museum fa capannelli da superstar, mica
è
così bella. E anche quella del museo di Assuan mica si
vede così
bene, con tutti i problemi di condensa che crea. Tutte e tre
raccontano la stessa storia: l' inizio dell' Aldilà.
I Faraoni
ancora non avevano iniziato a far monumentali le sepolture,
e così
ci si rannicchiava nel ventre della Madre Terra, in una tomba
di
forma ovale con qualche oggetto utile tutt' intorno, ché
tanto ci
avrebbe pensato lei, prima o poi, a far rinascere, a restituire
la
vita. Ora, questa torinese, fa da cuore e fulcro alle quattro
sale nuove che l' Egizio inaugura domani, con il ministro Giovanna
Melandri a far da madrina e un sospiro di sollievo dell'
Internazionale degli Egittologi. E sì, quella mummietta
piazzata
lì, e le grandi vetrine tutt' intorno - a raccontare
i primi
graffi, i primi segni, le primissime arti del primo Egitto -
vogliono anche dire che il Museo, rimane qui, dove è
nato,
cresciuto, e dove - volendo - può crescere ancora, a
meraviglia.
"Noi, però, siamo ancora con le dita incrociate"
sorride Anna
Maria Donadoni Roveri. "Non tutti, non sempre sono in grado
di
capire la differenza che c' è - e ci deve essere - tra
una mostra
e un museo con tutte le sue funzioni. Questo Museo, poi, è
il
primo Museo Egizio del mondo, ed è già in sé
un pezzo di
storia...". Vanto di Torino da sempre (fin da quando, nel
1824,
il console di Francia in Egitto, il piemontese Bernardino
Drovetti, riuscì a convincere Carlo Felice di Savoia
ad acquistare
quella sua collezione di ottomila pezzi che era riuscito ad
ammassare giù, con gusto, bulimia e occhio lungo), qualche
tempo
fa l' Egizio se l' è vista davvero brutta. Anni di ticketing,
di
management e di ingordigie pseudoculturali, quelli... Mica tanto
tempo fa: era sì il secolo scorso, ma il 1999: "Deve
fare due
milioni di visitatori!" si sentenziò all' improvviso;
"Spostiamo
tutto a Venaria!" si continuò per mesi a sentenziare...
A nulla
sembravano valere né il raccapriccio dei direttori dei
maggiori
musei del mondo, né le 25 mila firme di torinesi, tutti
allarmatissimi. E, poco serviva spiegare che in queste sale
-
quelle vecchiotte, fascinose rimaste su al primo piano ancora
da
rinfrescare, ma con tocco leggero - ci erano passati tutti coloro
che degli studi Egizi hanno fatto prima passione, poi scienza.
O
che Champollion, proprio qui, nel 1824 aveva decifrato e capito
il
Papiro dei Re (ancor oggi nervatura di ogni cronologia sull'
Egitto) e che nella Sala bella dell' Accademia delle Scienze,
accanto al Museo, aveva tenuto banco tra i sapienti spiegando
il
suo codice di accesso alle antiche memorie geroglifiche. Figurarsi
parlare di Ernesto Schiaparelli, l' antico direttore, poi...
Di
quella sua campagna acquisti giusto cent' anni fa, di quei suoi
scavi a Giza, della roba che portò qui, di quando ritrovò
giù a
Luxor, nella valle delle Regine, il gioiello pittorico che faceva
da sepolcro a Nefertari la bella. (Tutte cose queste che la
nuova
sala degli audiovisivi potrà raccontare per bene). Tutto
un album
di famiglia egittologica - ora riassunto in una vetrina del
nuovo
allestimento architettato da Graziano Romaldi - da dover
smembrare, insomma, che rischiava di perdere per sempre il suo
contesto, la sua impaginazione. Il tutto, per di più,
a cuor
leggero. E per traslocare a Venaria, poi... La Aulenti già
si era
messa sotto a vagheggiare lì - fuori Torino, nella colossale
residenza reale di caccia dei Savoia - simulazioni di cacce
al
cervo e fucilate genere Savoia (ma d' antan), bucintori
galleggianti, e suoni, e luci, ed effetti speciali, visto che
l'
Egizio, da solo, di Venaria sarebbe riuscito a riempirne solo
una
piccola parte. "Scampato pericolo" conferma da Roma
Paolo Leon,
l' economista esperto di Beni culturali a capo della commissione
su cui la Melandri aveva triangolato lo studio di fattibilità
dell' operazione e la sua convenienza materiale e culturale
all'
interno di un riordino generale dei musei torinesi. "Abbiamo
fatto
i conti che ci confermano cose quasi lapalissiane: un museo
attira
più gente se è nel centro di una città.
Lo spostamento in sé non
crea valore aggiunto in termini di visitatori, anzi spesso è
rischiosissimo. A potenziarne la fruizione è piuttosto
l'
ampliamento in loco, la valorizzazione, la possibilità
di nuovi
allestimenti se servono. Tutte cose che all' Egizio si renderanno
possibili liberando il palazzo dai capolavori oggi stretti e
sacrificati nella Galleria Sabauda da valorizzare altrove. Venaria
rimane comunque un polo fantastico da usare. Ci vuole però
un'
idea, un' idea nuova che funzioni davvero e che per ora non
c' è".
Scampato pericolo, dunque: Giovanna Melandri - viste e studiate
le
conclusioni di Leon & C. - domani annuncerà qui,
ex cathedra, la
lieta novella. Così ora, qui all' Egizio, la Donadoni
Roveri -
dita sempre incrociate - può ricominciare a sognare l'
impaginazione più giusta per i tanti tesori che custodisce:
la più
importante serie di pitture egizie del XX secolo a. C. che c'
è in
giro; le sue cento grandi, talvolta colossali, statue, Assemblea
dei Re compresa; i papiri entrati nella storia; i sarcofagi
di
ogni periodo e di ogni stile; il Tempio rupestre di Ellesija,
un
grazie dell' Egitto per i salvataggi italiani ai tempi del Lago
Nasser che montava. E i gioielli, e gli scarabei, e i tessuti
più
antichi del mondo; e le tombe di Gebelein rimontate proprio
come
Schiaparelli le trovò... "Rinfrescare, accorpare,
spiegare meglio.
C' è molto da fare ancora " dice. E Sergio Donadoni
che si è
sobbarcato gratis - per amor d' Egitto (e di Anna Maria) - buona
parte del lavoro didascalico d' accompagno ai reperti appena
esposti ("Ci siamo rifatti delle antiche carenze: ormai
siamo il
museo più spiegato e didascalizzato del mondo" ride)
sfodera una
sapienza antica: "La civiltà egiziana è stata
maestra di
rinnovamento nella continuità. E sappiamo che, tutto
sommato, gli
è andata davvero bene... La stessa formula magica permetterà
di
risolvere quelle che sono state solo apparenti contraddizioni:
fascino per il grande pubblico e serietà possono convivere
benissimo, basta volerlo". (E queste cose sarebbe bello
fargliele
dire con un' inquadratura stretta stretta, con lo sfondo color
sabbia della tomba di Iteti, come se si fosse in Egitto. Solo
allargando l' inquadratura, si capirebbe di essere ancora nel
museo: nella seconda nuova grande sala dove è stata appena
ricostruita a perfezione, imponente - mezza vera e mezza falsa,
ma
fatta bene - la sepoltura monumentale che Schiaparelli portò
via
da Giza nel 1903). Sogni e progetti non mancano. La
Soprintendente: "Già pronto c' è - ci sarebbe
- il progetto fatto
insieme all' Istituto San Paolo - e sospeso sul Rischio Trasloco
-
per un grande spazio da ricavare sotto il cortile interno:
milleduecento metri quadri che non solo ci permetterebbero
ampliamenti e accorpamenti nel Settore Gebelein, ma anche di
organizzare, od ospitare, mostre temporanee adeguate al Museo.
Se
poi davvero, come si dice, la Galleria Sabauda dovesse liberare
i
suoi locali qui sopra, all' ultimo piano, per una sede ancora
più
prestigiosa come l' ala nuova di Palazzo Reale, be' allora
sapremmo certo come riempire quei nuovi spazi...".
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