Gli Optional
A.A.A.Altri articoli di produzione propria
TESTATA:
REPUBBLICA
DATA:
06/12/2000
PAGINA:
40
SEZIONE:
CRONACA
OCCHIELLO:
L' archeologo: "Valli piene di reperti, asfaltarle sarebbe
una
follia"
TITOLO:
Quella reggia romana con vista sul guard rail
SOMMARIO:
IL CASO
AUTORE:
dal nostro inviato SERGIO FRAU
TESTO:
ANSEDONIA - Al biliardo lo chiamano filotto. A bowling: strike.
E'
quando - con un colpo solo - si centrano tutti i birilli e
arrivano i complimenti. L' avessero fatto apposta, qui, mica
ci
sarebbero riusciti così bene... Con neppure 30 chilometri
di
progetto per la nuova autostrada, sono riusciti a infilzare,
una
via l' altra, una città etrusca di 200 ettari (che, per
ora, solo
i tombaroli scavano); e subito dopo la spianata della battaglia
di
Talamone che, nel 225 avanti Cristo, salvò Roma dai Galli.
Poi,
con un paio di curvoni- carambola, sono entrati nella Valle
d' Oro
che costeggia il Fosso del Melone e che gli archeologi chiamano
la
Valle degli Schiavi: lì sotto sono stati censiti un'
altra dozzina
di insediamenti romani, tutti ancora da perlustrare. Gran finale
a
Settefinestre: proprio sotto un villone fortificato, che finora,
con i suoi resti, ha raccontato meglio di tutti come, dal II
secolo avanti Cristo in avanti, i legionari romani prima, gli
aristocratici poi, diventati signorotti di campagna in questa
valle, riuscirono a farsi ricchi, ma così ricchi... In
zona, gira
una battutaccia amara: "Villa di Settefinestre sull' Autostrada",
già la chiamano. E sì, perché il nastro
d' asfalto lambirebbe
proprio il poggio su cui la Villa sorge. Il professor Andrea
Carandini che lì ha scavato, al sentirla, non si diverte
affatto:
"Ma è una follia! Quella valle è piena di
roba. Può raccontarci
interi capitoli di storia romana: Settefinestre, da sola, ci
permise di ricostruire lo schiavismo agricolo di cui, fino ad
allora, si sapeva qualcosa solo dalle fonti. Per non parlare
della
miriade di oggetti che restituì". E più si
scava nella sua
memoria, più roba salta fuori: "E' la materializzazione
della
villa perfecta descritta da Varrone: un bel corpo centrale
quadrato, solide mura, due portici sovrapposti, due torri che
spiccano sul paesaggio... Il tutto soffuso di buongusto
ellenistico-romano, non facile da trovare in giro. Un piccola
reggia, insomma, con le zone di servizio ben nascoste e separate
da quelle opulente di rappresentanza. Olio, vino, grano: deve
essere stata un portento di organizzazione". E più
parla,
Carandini, più si appassiona: "Ricordo ancora l'
emozione di
quando saltò fuori la porcilaia. Solo dopo un po' capimmo
che era
simmetrica, e assai simile, alla zona di allevamento degli
schiavi. Porci e servi erano "bestie" di valore: andavano
trattati
con perizia. Varrone, Columella e altri scrittori classici si
dilungano dettagliatamente sull' allevamento degli uni e degli
altri. Quelle loro indicazioni, superando l' Atlantico, fecero
poi
da nervatura allo schiavismo americano: schiavi da campo e da
fatica, organizzati in squadre per mansioni assai specializzate;
schiavi cacciatori; servi domestici, i più docili; schiave
da
riproduzione quando poi le guerre, diminuendo, smisero di
rifornire Roma di braccia a basso costo. Di ville come
Settefinestre nella valle ce ne sono almeno una dozzina, mai
scavate. Tanto che noi avevamo proposto un parco archeologico
per
l' intera zona. Poi però...". Con parole come queste
in testa, con
le splendide ricostruzioni pubblicate proprio da Carandini negli
occhi, e per di più con l' ansia di un conto alla rovescia
che -
di qui a breve - potrebbe devastare la valle, uno che fa? Va
sul
posto. E si perde. Non c' è una freccia, né un'
indicazione a
segnalare la Villa. La strada che punta all' interno - dopo
cinque, sei chilometri - si fa bianca. Intorno è un paradiso.
Tutto privato, però: si cammina stretti in una corsia
di filo
spinato, da una parte e dall' altra. E' vietato tutto:
passeggiare, andare a funghi, cogliere more. Sparare si può,
ma
solo per chi entra nella riserva. Appena più giù,
quel verde fin
troppo compatto, pettinato, è di un campo di golf. Ogni
indicazione che si chiede - sempre a caccia della Villa - si
viene
a sapere tutt' altro: che, proprio qui, nel paradiso della Valle
d' Oro, c' è un girone di potenti che dell' archeologia
se ne è
sempre infischiato, tranne ora che può servire contro
l'
autostrada. E che anzi, proprio con raffiche di ricorsi al Tar,
sono stati frenati gli scavi in zona, ed è stata seppellita
pian
piano l' ipotesi della valorizzazione archeologica. E la Villa?
Trovarla, provare a visitarla, stringe il cuore. L' impressione
è
che se la siano dimenticata un po' tutti: carciofi e rampicanti
l'
assediano da tutte le parti. La ruggine di un cartello mezzo
andato ha trasformato la scritta "Scavi archeologici"
in "Slavi
archeologici". E' l' unica indicazione che c' è.
Tutto - dopo gli
scavi di Carandini - è stato riempito di nuovo per la
tranquillità
dei confinanti, quelli che a colpi di Tar hanno fatto perdere
del
tutto la memoria archeologica della zona. I loro cancelli, ormai,
impediscono persino di guardare per bene, dal basso, le mura
di
fortificazione che un tempo proteggevano questa strana fazenda
latina. Da vedere, ormai, c' è poco e nulla. Sotto c'
è ancora
tutto. Federico Zeri, nelle giornate più nere, sbottava:
"Non ce
le meritiamo le nostre bellezze. Rassegnamoci: non ne siamo
all'
altezza". Peccato, che non ci sia più.
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