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TESTATA:
REPUBBLICA
DATA:
15/08/2000
PAGINA:
26
SEZIONE:
CRONACA
TITOLO:
Così Apollo fece di Delfi l' ombelico del mondo
SOMMARIO:
Un dio potente, uno scenario naturale mozzafiato, un conclave di
sacerdoti padroni del sapere e maestri nell' arte della politica.
Viaggio nel tempio dove per un millennio furono decisi i destini
del Mediterraneo. Perfino i romani, che pure misero fuorilegge gli
dei pagani, per cavarsi dai pasticci vennero qui a chiedere lumi
AUTORE:
dal nostro inviato SERGIO FRAU
TESTO:
"Mettere la Pizia a Delfi è stato un vero colpo di genio". Gustave
Flaubert, 1851 DELFI - All' inizio, tra le Sette Meraviglie del
Mondo Antico, il Tempio di Apollo di Delfi, mica ce l' avevano
messo... Se ne pentirono, però: era troppo bello, proporzionato,
armonioso per lasciarlo fuori. Così, qualche tempo dopo, quando si
trattò di perfezionare il listone d' oro - e le meraviglie
divennero 14 - eccolo comparire, il Tempio, insieme con l' Atena
d' avorio di Atene ed Epidauro, altri vanti di Grecia tagliati via
da principio. Del resto, come non mettercelo... Quassù, a Delfi,
Apollo lottò con il Pitone. E l' Arte con la Natura. E sì, gli
artisti qui per quasi mille anni, più o meno dal 600 avanti
Cristo, hanno sempre avuto l' obbligo dello splendore. Come
competere, sennò, con il possente scenario naturale che avrebbe
poi ospitato le loro opere? Architetti d' avanguardia, scultori
come Fidia, poeti come Pindaro, alleati tutti insieme a creare
capolavori, uno via l' altro, in gloria di Apollo, non ce la
fecero, però. Su tutti loro ha sempre vinto questa sarabanda di
effetti speciali che i picchi di calcare tutt' intorno - ritmati
dagli strapiombi, slargati da visioni vertiginose fino al mare -
regalano a chi si arrampica fin qui. Forse in passato, nel 500
avanti Cristo, quando la Sfinge allucinata che è ora al Museo,
svettava ancora sulla sua colonna a 12 metri di altezza, e i
templi erano ancora tutti dipinti, e c' erano statue belle
dappertutto, e i marmi migliori s' arricciavano a far capitelli, e
i bronzi e gli argenti brillavano a far da ex voto, e la gente
delle capanne arrivava qui e stupiva... allora sì, che ci può
esser pure stata, forse, una lotta alla pari tra Arte e paesaggio.
Ma adesso... Sdraiala giù in pianura Delfi, oggi, cariata com' è,
e allora è meglio Olimpia con tutti i suoi colossi in piedi.
Toglile la vista, gli scorci, il Parnaso che va a bucare il cielo,
e Delfi diventa un ossario d' arte rotta. Prova a percorrerla
questa Via Sacra dei Thesauroi (tutta punteggiata dalle edicole
dove le etnie si autorappresentavano con tracotante opulenza) ma
senza poterti sentire in cima al mondo, e tutto diventa vanità
umana e nient' altro: splendide macerie il Tesoro dei Siracusani
messo lì, a ricordare gli Ateniesi sconfitti; e - proprio di
fronte - quello degli Ateniesi, tirato su invece per ringraziare
Apollo della vittoria a Maratona; resti scheggiati il Tesoro dei
Tebani; pietre sconnesse, ormai, quello dei Tarantini... Briciole
di corinzio, molecole di dorico. Tutto un big bang degli stili.
Persino lo stadio - splendido, quasi del tutto integro - mica
sarebbe così magico se non ci avessero lavorato così tanto, a
mezza montagna, per riuscire a farlo planare fin quassù. Vincere
qui dentro, e poi dal podio guardare giù in basso, verso la valle
dove scorrono gli ulivi e comincia il mondo, significava vincere
sul Mediterraneo intero. Del resto basta fissarlo negli occhi per
un po' , l' Auriga di bronzo che ancora trionfa al Museo come
fosse dio: senza il suo cocchio, senza i sei cavalli che aveva
davanti, continua da allora - trattenuto, composto, regale - a
godersi quella sua antica vittoria, senza un muscolo in faccia che
lo dimostri: un auriga ma zen; un pokerista con quattro assi in
mano, ma ancora tutti da nascondere. "Se già lui, mutilato com' è,
riesce a comunicare qualcosa di divino, figurarsi Apollo, qui..."
Kostas Soueref, archeologo con una vera passione per i Santuari e
per la politica che da essi s' irradiava, ci mette niente a
collocare Delfi nella storia e nella geografia: "Zeus era lontano,
a Dodona. A occuparsi di tutto c' era Apollo. E l' Apollo di Delfi
sopra tutti. Era lui che bisognava pregare. A lui fare le offerte
più cospicue. Da lui, si veniva a colpo sicuro... Carestie? Delfi!
Faide in città? Delfi! Colonie da fondare? Delfi! Ribelli da
spedir via? Ci pensava sempre Delfi, grazie a dio... Passato,
presente o futuro da conoscere? Delfi, naturalmente". E prosegue:
"Altro che Lourdes... Per quelle cose c' era già Epidauro, con
Asclepio, i suoi beveroni magici, le sue guarigioni miracolose.
Qui invece, per sei secoli almeno, proprio grazie al carisma di
Apollo, sono riusciti a dipanare grane internazionali e dubbi
privati, lotte di successione e tormenti esistenziali... Le loro
armi? La protezione, i lasciapassare, le scomuniche, le
mediazioni... Insomma un Vaticano, ma d' antan: Apollo e il suo
staff, una decina di sacerdoti in tutto, ebbero qui un ruolo
davvero molto simile a quello svolto dai papi nella politica
europea tra il ' 200 e il ' 700 del millennio passato. Silenzi,
maledizioni, guerre sante, indulgenze a pagamento, una sapiente
geografia delle alleanze, l' alchimia dei ricatti, la creazione di
nuovi santi ovvero gli Eroi della tradizione greca...". E' proprio
da questa sacra cabina di regia, appollaiata sulle montagne della
Focide quasi fosse un colossale nido d' aquile, che venne pilotata
con geometrica potenza la colonizzazione mediterranea tra il VIII
e il V secolo prima di Cristo. A riguardarlo bene, anzi, il
disegno del mondo antico prima di Roma, in gran parte è opera sua.
O almeno di quel pool di cervelli - un piccolo conclave votato ad
Apollo - capace non solo di tenere in pugno lo scacchiere
internazionale con sapienti frasette oracolari, ma anche di
giocarci su, al meglio, il grande risiko delle genti, dei
commerci, delle alleanze. Avercelo un Apollo così, anche oggi...
Un vero peccato che l' imperatore Teodosio l' abbia messo fuori
legge, invece, con quella sua scomunica contro gli dei pagani del
391. Metti solo la questione delle migrazioni mediterranee, oggi:
uno andrebbe lì - come allora, disperato perché al paese suo non
c' è più abbastanza da mangiare - e, dalla sua Pizia, megafono del
dio che conosce "ogni granello di sabbia del mare", saprebbe di
preciso dove e come si può andare, le rotte giuste, i paesi dove
si è accolti bene, dove c' è lavoro... Saprebbe che - stessa
razza, stessa faccia - la Tebe greca (a mezz' ora da qui) nasce
fenicia, o che dietro Crotone c' è gente d' Acaia, o che Ischia è
eubea, Reggio e Messina calcidesi; o - venendo avanti fino a noi -
che, ora, Prato è mezza cinese; e che Allah è il secondo dio in
Italia e Francia; e che da certa Germania è bene tenersi alla
larga perché si divertono a dar fuoco alla gente di colore; o che
nel Cilento senza i senegalesi non sanno più come fare a
raccogliere i pomodori... Racconta Souref: "Era un dio davvero per
bene questo Apollo di Delfi. Fu con lui che l' uomo divenne dio.
Accanto ai bisogni primari - cibo e fecondità - arrivarono i
sentimenti e leggi più civili. Tanto che poi - miracolo! - le
Erinni della Vendetta finirono per tramutarsi nelle Eumenidi della
Concordia. E l' esilio sostituì le condanne a morte. E pentimento
e penitenza divennero prove d' appello. Ma non solo: era qui che
ci si imbatteva in quelle schegge di sapienza arrivate fino a noi
- tipo: Conosci te stesso, o Nulla di troppo - che punteggiavano,
scolpite nel marmo a cambiare il cervello dei pellegrini, l'
intera zona sacra". Apollo delfico amava musica, poesia, teatro.
Gli artisti, ruffiani, prima delle loro tournée o delle gare
poetiche che movimentavano il mezzo mondo greco, facevano spesso
un salto qui per una benedizione, un lasciapassare, qualche
raccomandazione. In cambio, ovunque si esibissero poi - alla corte
di Cirene in Libia o dai tirannelli di Sicilia - parlavano sempre
un gran bene di lui, di Delfi, della sua Pizia. E i poeti prima,
gli scultori poi ne fecero il più bello degli dei - un eterno
ragazzo - tanto che, ancor oggi, la sua faccia giganteggia sulla
banconota più usata di Grecia. Creso, Pindaro, Erodoto, i grandi
tragici, Socrate, Platone, Filippo il Macedone, Nerone, Adriano
(che, fissato d' amore, piazzò anche qui un suo splendido
Antinoo)... Gran bei nomi si arrampicarono fin quassù. Si sale, si
sale... E arrivati su, si sale ancora. E' l' Olimpo, ma di Apollo.
Poi a guardar giù, o tutt' intorno, non si può far altro che
credere in qualche dio. E pensare che di solito, parlando di
Delfi, si comincia sempre con l' amfizionia e le guerre sacre...
Lo fanno persino le guide, qui. Dice Soueref: "E' anche giusto,
del resto: quell' antico patto tra 20 etnie greche, tutte legate
insieme dalla benedizione di Apollo, cambiò il mondo. Il suo
ordine nuovo arrivò con le navi fin da voi in Italia. Fece da
lievito alla Magna Grecia, ne benedisse le città, tenne in bilico
i popoli...". C' è un tale mare di storie che schiumano via da qui
che, poi, quasi mai nessuno ha spazio per raccontare che delphos
vuol dire anche utero; e che Apollo, Delfi l' ha trovata non solo
bell' e fatta, ma anche già santa; e che dietro quella sua Pizia
sputasentenze, erede di antiche sciamane che dovevano operare in
zona già nel periodo arcaico, c' era un vero e proprio pool di
cervelli, un' équipe di sacerdoti che, per quasi mille anni, le ha
messo in bocca tutto quel che era utile farle dire. Persino i tre
simboli di qui - l' alloro sacro, il tripode, l' omphalos ovvero
ombelico, ma del Mondo - sarebbero molto più antichi di lui:
gadget sacri rubati alla religione usurpata. E sì, Delfi e la sua
grotta erano già stati scelti per quei culti della Madre Terra che
precedettero l' affermazione di Apollo & C. Era proprio da un suo
pertugio, (una grotta piazzata accanto alla piattaforma dove più
tardi nacque il tempio del nuovo dio), che la Terra, Gea o Gaia,
faceva conoscere ai mortali le sue opinioni. Fu lei, qua, la prima
profetessa. L' albero genealogico lo fornisce Eschilo in persona:
all' inizio fu Gaia, dunque; poi sua figlia Themis; poi Phoibè,
sua nipote e - a sorpresa, tra il 700 e il 600 avanti Cristo -
ecco apparire Apollo che qui era soprannominato Febo. E le radici
di quelle sante donne si perdono, però, nelle terre più in là:
origini anatoliche? Sciamane caldee? Mesopotamia? Certo, poi ci
hanno lavorato per secoli a imbragare e domare questa natura
imbizzarrita che Apollo aveva scelto per farne il suo trono.
Soldi, del resto, almeno nei secoli buoni, non sono mai mancati.
Soueref spiega: "C' era tutto un meccanismo di tangenti legato ai
consigli oracolari... Funzionava a meraviglia! Chi si rivolgeva a
Delfi per avere indicazione di dove fondare una colonia, firmava
un patto col dio: aveva poi non solo l' obbligo di tornare e dire
com' era andata, descrivere nel dettaglio le rotte, i problemi, le
novità geopolitiche, ma anche di inviare annualmente la decima dei
suoi guadagni al Santuario, ovvero il 10 per cento del prodotto
interno lordo". Oro - e informazioni a bizzeffe che valevano
altrettanto oro - venivano incamerati qui. Ne uscivano solo dosati
con sapienza e mille attenzioni. Non si parla mai, nelle fonti
antiche, dell' archivio di Delfi. In molti, però, pensano che -
magari segreto, magari a disposizione solo di pochi, affidabili
studiosi - ci dovesse pur essere. E che, forse Erodoto - così
preciso ogni volta che le sue Storie intersecano quelle di Delfi -
proprio qui abbia attinto i mille particolari geografici che lo
rendono più grande. E anche Plutarco, sacerdote a Delfi dal 105 al
126 dopo Cristo, parecchie delle sue righe le avrebbe scritte
proprio frugando nella memoria del Santuario. Persino Roma, nel IV
secolo avanti Cristo, quando non sapeva più che fare con il lago
di Albano che si andava riempiendo a dismisura senza riuscire a
smaltire le sue acque, cercò a Delfi la soluzione che puntualmente
ebbe: "Scavare un canale sotterraneo che faccia da valvola...".
Era davvero questo l' Ombelico del Mondo. Ma mica solo perché Zeus
a un certo punto aveva liberato quelle sue due aquile dai confini
della Terra che, poi, si erano incontrate proprio qui. No. Lo era
perché faceva comodo a tutti. Quando nel 548 avanti Cristo un
masso staccatosi dai monti qua sopra distrusse il tempio, mezzo
mondo - faraone Amasis compreso - partecipò alla colletta per
rifarlo più bello di prima. E i re sapevano bene che ogni regalo
fatto a Delfi - le nuove statue, i tripodi da guinness, i troni d'
oro, i conconi di bronzo - lo si raccontava, poi, ovunque. Così il
Museo, ancor oggi, ha roba che strabilia. Neanche l' ombra, però,
di quel che c' era prima che Nerone e Costantino facessero man
bassa... Delfi stessa era tutta un museo. Serve Pausania a
rimettere i capolavori al loro posto, a restituire vita alle
pietre. Con lui non si passeggia più soltanto nella storia, ma si
precipita nel mito: ogni basamento, ogni capitello, ogni fregio
diventano - grazie alle sue parole - grimaldelli di memorie ancora
più antiche. Tori sconfitti, pesche miracolose, i Persiani
addosso, vittorie inaspettate, la tomba di Neottolemo, l' Omero di
bronzo, Ercole che vuole il treppiede di Apollo... Tutto torna. E,
a cascata, ti arrivano addosso mille e una storia. Che si slargano
su altre storie. E su altre ancora. E ognuna, a seguirla, ti porta
lontano, ad altre storie sepolte. E le vertigini, da un certo
momento in poi, non sono più soltanto quelle dei crepacci qui
sotto. E' il tempo antico che rivive, ad attrarre. Ma come un
precipizio. E senza fine. "Dite al re: sono crollati i bei
cortili, Febo non ha più la sua capanna, né alloro indovino. Né
fonte parlante. Anche l' acqua profetica è spenta". Sono le ultime
parole della Pizia. L' ultimo messaggio all' ultimo potente
pagano, l' imperatore Giuliano che, apostata, tentò di salvare
Apollo dalle croci, ormai trionfanti ovunque. Ma come spade.
DIDASCALIA:
Qui a fianco, una statuetta in bronzo di Apollo del 525 avanti
Cristo. In alto a destra, l' anfiteatro di Delfi Uno dei templi
meglio conservati di Delfi: il tempo ha sfigurato una delle zone
sacre più belle dell' antichità
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