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TESTATA:
REPUBBLICA
DATA:
20/06/2000
PAGINA:
48
SEZIONE:
CULTURA
OCCHIELLO:
Si apre un' importante mostra all' Archeologico di Chieti. Ma da
dove provengono quelle opere?
TITOLO:
Il mistero dei tre guerrieri
SOMMARIO:
RAZZA PICENA. Un popolo evanescente che si affacciava sull'
Adriatico. Era nato prima di Roma Furono prima i Galli e poi i
romani a cancellarne la presenza. Restano gli enigmi della sua
arte
AUTORE:
di SERGIO FRAU
TESTO:
Chieti Certo per essere strani, sono strani davvero... Eccoli qua.
Tutti e tre insieme, finalmente. Ma chi sono? E che gente li ha
fatti? Di questi tre principi guerrieri di pietra, riuniti da oggi
in mostra a Chieti per la prima volta in Italia, anche coloro che
sanno di più, tutto sommato, ne sanno pochissimo. Mica come i due
bronzi di Riace, belli e possibili, ben inquadrati fin dal
ritrovamento in un contesto culturale stranoto, arcistudiato. Dei
tre giganti si sa a malapena quel che si vede e poco più. Il resto
sono indizi, ipotesi, supposizioni e misteri. Si sa che - a parte
i copricapi ed alcune minime differenze di look - questi Principi
europei dell' età del ferro sono bardati in maniera pressoché
identica, con collari di bronzo spesso, i pugnali sull' addome, i
bracciali importanti quasi alle ascelle. E che la strana posizione
delle loro braccia, ieratica, con gli avambracci paralleli che
pendono in giù, non può essere un caso e che, anzi, li connota
come appartenenti a un' unica cultura estetico- simbolica. Stessa
razza-stessa faccia, quindi? Oppure opere di artisti giramondo
che, nel VI e V secolo prima di Cristo, zigzagavano tra Marche,
Abruzzi e Germania a piazzare a pagamento statue funebri come
queste, su tumuli circolari sorprendentemente simili? L' impatto
con loro tre - che da oggi, e fino a fine di agosto, ricevono i
visitatori all' Archeologico di Chieti, per poi separarsi di nuovo
- vale il viaggio. Maria Ruggeri, la direttrice, e l' architetto
che l' ha aiutata, Mosè Ricci, hanno deciso di sistemarli su dei
supporti di terra cruda alti più di un metro, in modo che il colpo
d' occhio, oggi, sia quello stesso che doveva impressionare la
gente di 2500 anni fa che passava davanti alle loro tombe. L'
effetto è maestoso, inquietante: il Guerriero di Capestrano (l'
unico di produzione propria, essendo stato ritrovato per caso nel
1934, a metà strada tra Chieti e l' Aquila) è alto un metro e 96;
degli altri due principi guerrieri che arrivano dalla Germania uno
(quello da Glauberg ) è un metro e 85, e l' altro (quello di
Hirschlanden) un metro e mezzo ma solo perché ha le gambe
spezzate. Altri, in frantumi, ne sono stati trovati nei pressi di
Glauberg, tanto da far ipotizzare che ogni statua dovesse rimanere
lì, sul suo tumulo, a ricordo dell' ultimo sovrano deceduto, fin
quando non fosse morto il nuovo principe regnante. A quel punto -
si suppone - la statua del predecessore veniva rimossa, interrata
e a svettare sul tumulo da quel momento in poi veniva sistemata la
statua del sovrano appena morto. Delle tre la più bella, la meglio
conservata, la più surreale - con quel suo sombrero a falde
larghe, con tanto di cimiero - è proprio quella di Capestrano. E'
anche uno stranissimo azzardo per gli anni in cui fu fatta:
siccome poggia su due piedi che non ne avrebbero potuto garantire
la stabilità, l' artista che la creò, escogitò due fregi laterali
che sembrano lì solo per abbellirla ma che invece la puntellano,
con eleganza. A fine lavoro doveva essere davvero soddisfatto di
quella soluzione: sul bordo laterale destro, infatti, lo scultore
ha lasciato scritto - con caratteri decifrati solo una decina di
anni fa da Adriano La Regina - "Me bella immagine fece Aninis per
il re Nevio Pompuledio". Scritta davvero importante, da
considerarsi la prima vera firma di artista - Aninis, appunto -
della storia dell' arte visto che è datata VI secolo avanti Cristo
e che Fidia arrivò solo il secolo dopo. La più pazza è quella che
i tedeschi hanno battezzato da decenni "Topolino" per quelle sue
due orecchione smisurate che lasciarono di stucco persino gli
archeologi tedeschi che la ritrovarono a Glauberg. La più astratta
e malridotta, splendida peraltro, è il Guerriero di Hirschlanden:
l' unica tutta nuda, l' unica vistosamente su di giri,
"itifallica" la catalogano gli esperti. Se i tre principi
guerrieri da Chieti dominano su tutto il resto, basta poi guardare
per bene le tre mostre di Chieti, Ascoli e Teramo, per rendersi
conto di quanti e quali tesori circondassero questa gente e la
loro vita e la loro morte: bronzi sbalzat, incisi, istoriati,
stele, gioielli a profusione, vasi - un' infinità di vasi in
terracotta e bronzo -, armi, amuleti, strumenti di lavoro,
divinità di un pantheon mai visto... E sì che solo un quarto di
secolo fa, Massimo Pallottino non poteva far altro che scrivere:
"Noi abbiamo un grande fantasma che ci perseguita da decenni:
sull' Adriatico questo fantasma sono i Piceni". Passi avanti da
allora se ne sono stati fatti assai, ma quel "fantasma" di
Pallottino solo da poco ha cominciato a svelarsi: non solo gli
scavi e queste mostre, ma anche un gran bel libro di Alessandro
Naso appena uscito per Longanesi (I Piceni, pagg. 345, lire
65.000) materializzano ormai quel popolo a lungo evanescente,
tanto che è possibile tentarne una prima carta d' identità.
Dunque... Nome (che essi stessi si davano): Safini, Sabini,
Maronci, Pupuni... Nome (che gli autori greci e latini
appiopparono alle genti delle Marche soprattutto): Picenti,
Picentini e, solo dall' epoca di Augusto, Piceni. Residenza
abituale? Marche e zona nord degli Abruzzi. Lingua: uno strano
mischione tutto italico. Data di nascita: 800 a. C., più o meno.
Massimo splendore: 600-400 a.C. Due dei re di Roma, in quegli anni
- Tito Tazio e Numa Pompilio - è gente loro. Data di morte (con i
Galli che prima gli arrivano addosso da Nord, e soprattutto i
Romani che li conquistano da sud): 268 avanti Cristo. Religione?
Per anni e anni il loro dio - riprodotto con gran fascino sui
bronzi esposti - è uno strano "Signore dei Cavalli". Segni
particolari: grandi guerrieri e mercenari fidati. Cimieri,
gambali, spade in ferro, pugnali in bronzo, pettorali salvacuore,
archi, frecce, giavellotti, lance ne facevano vere e proprie
macchine da guerra. Vizi? Grandi giocatori di dadi (ritrovati in
osso ed esposti in mostra); grandi bevitori di vino; grandi
mangiatori di buon gusto. Tanto che le fonti latine si lasciano
spesso andare a magnificare le loro delikatessen: Marziale esalta
la farina picena e la loro salsiccia lucanica; a Plinio piace sia
il loro pane, che le loro olive, che l' olio che se trae...
Persino la lana prodotta da loro è più bella e morbida delle
altre: parola di Silio Italico, il quale racconta che è tinta
talmente bene che non ha nulla da invidiare né alle porpore di
Sidone né a quelle libiche... Rapporti & Relazioni: tutto un
vorticare di commerci, dall' Etruria viterbese alla Germania, gran
mercato dell' ambra che arrivava giù dal Baltico... Un gran bel
puzzle, insomma - questo piceno - che si va componendo come in
diretta: a sorpresa, ne viene fuori un Adriatico davvero strano,
nuovo e cosmopolita - come firmato da Jodorowsky - con ori
macedoni, decori sciti, i greci ad Ancona e mille segreti da
svelare.
DIDASCALIA:
Nella foto al centro, i tre principi guerrieri al museo di Chieti,
in primo piano il guerriero di Glauberg, poi quello di Capestrano
e infine di Hirschlanden; qui sotto, collo di vaso a forma di
testa donna; al centro in basso, coperchio bronzeo con figure
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