Gli Optional
A.A.A.Altri articoli di produzione propria

TESTATA:
Repubblica
DATA:
29/3/1997
PAGINA:
37
SEZIONE:
CULTURA
TITOLO:
PALESTINA UNA FESTA D' INFERNO

SOMMARIO:
Nel dramma della cronaca di questi giorni si aprono a Parigi una
serie di mostre su un popolo fra i più tormentati. Dalle fotografie
di Towell all' arte islamica. E il leader torna tra la sua gente
ridendo di gioia. Ci sono problemi con censura e la cultura del
sospetto

AUTORE:
Sergio Frau
TESTO:
Parigi. Quei loro occhi tristi, di una disperazione lunga e ferma,
te li senti addosso per un po' , anche fuori dalle mostre.
Soprattutto gli sguardi delle donne e dei vecchi. Le donne - madri
e madri delle madri - come atterrite dal futuro dei bambini scalzi
che zompettano intorno a loro, giocando tra le macerie. I vecchi -
indifesi - sono come attoniti, sfiniti dalle deportazioni: ti
fissano dalle foto alle pareti con il panico dell' età negli
occhi. Li vedi, umiliati, frugare tra gli stracci della carità
internazionale per vestirsi; li vedi stralunati - zavorra in
groppa ai figli giovani - in marcia forzata verso un nuovo campo
di concentramento che non sarebbero mai riusciti a raggiungere con
le loro gambe, fragili come sono. Doveva essere una festa grande,
bella, orgogliosa... Il segnale che quei giorni d' inferno sono
davvero finiti. Poteva esserlo. Anche il titolo l' avevano scelto
con cura e allegria, un anno fa, quando tutto è stato messo in
cantiere e la pace camminava ancora con la speranza: Le printemps
palestinien l' avevano battezzata - La primavera palestinese - un
titolo doppio visto che le dieci mostre in programma stanno
partendo una via l' altra proprio in questi giorni e che, prima
dell' estate, arriveranno qui dalla Palestina e dalla diaspora
poeti, artisti, musicisti, attori, saggi a far serate, conferenze,
concerti, spettacoli. Arriveranno anche i kilim di Gaza, gli
smalti, i tessuti più belli, le maioliche che brillano con la
luce... Tutto per raccontare che la loro cultura c' è, c' è
ancora, e va conosciuta, aiutata a riprendersi, amata, riassorbita
nel circuito internazionale, fatta crescere con il resto del
mondo. Maledetti buldozer... La festa c' è stata, certo, ma come
striata di angoscia per il susseguirsi di notizie che nei giorni
dell' allestimento, al momento degli ultimi ritocchi e delle
inaugurazioni, arrivavano da giù: l' avvio a Gerusalemme del nuovo
colossale quartiere israeliano in terra palestinese, la furiosa
reazione sanguinaria dei terroristi che Arafat non riesce a tenere
a bada, i nuovi scontri di piazza a Ebron, a Betlemme... Così,
davanti alle foto, ai quadri, nei dibattiti, in tutti si coglieva
la stessa ansia: "Netanyahu sapeva che intervenendo su quella
collina avrebbe automaticamente dato un pretesto ai terroristi per
intervenire a modo loro, con il sangue.
Sapeva. E l' ha fatto lo stesso. Ed è proprio questo che preoccupa
di più". E che preoccupa anche gli israeliani al 56 per cento
contrari all' Operazione Buldozer. Che peccato... Sono davvero
belle le esposizioni che hanno messo su. Sei sono già aperte.
Quelle delle foto le hanno sparpagliate per Parigi, nelle sale
della Fnac, la catena dei megastore di libri e musica che- con
coraggio - ha offerto ospitalità a questa manifestazione scomoda.
Bianco e nero, ben incise, grande formato a Fnac Etoile ci sono
quelle rintracciate negli archivi delle Nazioni unite, le più
inquietanti. Non c' è spazio per mostrare le ufficialità. Non c' è
esposta neppure la foto storica di chi, per l' Onu, nel 1947,
decise con una firma di ridisegnare quel pezzo di mondo grande
quanto la Sardegna e reinventarsi una Palestina monca, ai margini
del nuovo Israele.
Attraverso una sessantina di foto in bianco e nero è possibile
assistere, però, alle fasi strazianti di quell' autopsia che
sezionò da viva una terra e il suo popolo di sei milioni di
persone: il 1948 con i camion dell' esodo con persone e materassi
che fanno massa insieme, con quelle due bambine che oggi, se ci
sono ancora, avranno sessant' anni, quasi spezzate nello spingere
due carrozine pesanti di povere cose da salvare e portar in
esilio; il 1949 quando solo le coperte stese fanno da paratie
nell' enorme capannone dove almeno trenta famiglie stanno
cominciando ammassate la loro vita da deportati. Le tende di un
altro campo, quello di Nahr el Bared, vengono bene in fotografia:
sono tantissime, ben ritmate dal chiaroscuro, e tutto intorno,
nemico, c' è il deserto a far da recinzione. E, poi, case
distrutte, e filo spinato, e occhi che non sanno il domani... E le
marce affannate, affamate del '67... E - come fossili triturati -
le abitazioni dopo una rappresaglia... E i sassi dell' Intifada...
E si arriva al lieto fine - con Arafat ritratto che torna tra la
sua gente che ride di gioia- senza aver mai visto, tutto il sangue
che quel risiko matto di cinquant' anni fa ha fatto scorrere. Con
Larry Towell, della Magnum - a Fnac Montparnasse - il racconto
continua. Attento alle luci, alle sue geometrie e ai ritmi del
racconto, Towell - che insegue e documenta in giro per il mondo le
resistenze dei popoli più disgraziati (Nicaragua, Guatemala,
Palestina...) - gioca duro con immagini drammatiche e bozzetti di
vita "normale", frutto dei viaggi che ha fatto in Palestina dal
'93 a oggi. E' l' Istituto del Mondo Arabo che racconta l' arte
con due grandi sale. In una, centinaia di foto perlustrano le
meraviglie della Cupola della Roccia, il primo più fastoso
edificio islamico costruito a fine Seicento per proteggere e far
ancora più sacra la pietra dove Maometto si fermò prima di
volarsene in cielo. Ci ha lavorato mesi Said Nuseibeh per cercare
e trovare le luci giuste sull' immensa cupola d' oro, per fissare
le brume del giardino, le minuzie dei mosaici che si torcono con
mille colori pur di non lasciare nessuno spazio alle figure umane
che l' Islam proibiva.
Pochi passi più in là - sempre all' IMA - c' è l' arte di oggi:
nove artisti soltanto. Leggerne le biografie stringe il cuore:
Kamal Boullata nato a Gerusalemme vive negli Usa; Mona Hatoum nata
a Beirut vive a Londra; Jumana El Husseini nata Gerusalemme, vive
in Francia, Laila Shawa nata a Gaza vive a Londra; Suha Shoman
nata a Gerusalemme vive in Giordania... E' la diaspora, è la
Palestina che rimane dentro chi l' ha lasciata. Che peccato non
poter parlare con Yasser Abed Rabo, ministro della Cultura,
soltanto dei suoi nuovi progetti... Dei cinema che vuol
ricostruire ("Uno in ogni villaggio visto che al 90 per cento
quelli che avevamo sono stati distrutti"), dei musei a cui
affidare memoria e meraviglie della sua gente, dei restauri, delle
biblioteche e delle librerie che sogna ("E devono nascere case
editrici a costi bassi: abbiamo un gran bisogno di poter a
leggere"), del ripristino dei collegamenti tra i centri
palestinesi ("Fratturato com' è oggi il nostro territorio è più
facile per un intellettuale di Gerusalemme andare a Roma o Parigi
che tenere una conferenza a Gaza"). Cinquantun anni, palestinese
di Jaffa, una vita da esule in giro per i paesi arabi a far da
responsabile per l' Olp per la cultura e l' informazione, Rabbo lo
dice chiaro che in questi giorni a Parigi si sente in una
situazione paradossale: "Qui ora è festa, giù siamo di nuovo
vittime del razzismo. L' architettura, l' urbanistica, il disegno
dei territori, i nuovi insediamenti come Netanyau li sta usando
contro di noi, fanno parte di un piano preciso: cercano di creare
delle riserve - frazionate e non comunicanti - e chiuderci là
dentro a marcire, proprio come è stato fatto nell' Ottocento per
realizzare il genocidio culturale degli indiani d' America...".
Emergenze continue che, di volta in volta, fanno slittare in là i
grandi problemi della nuova democrazia palestinese. Al dibattito
alla Fnac, con i fotografi delle mostre, Larry Towell l' ha detto
chiaro che ci sono problemi con la censura, con la libertà d'
espressione, con le paranoie del sospetto. Da politica esperta,
Leila Shahid ha preso il microfono per sdrammatizzare e dargli
ragione: "L' altro giorno la nostra polizia ha arrestato un
fotografo che ritraeva un asino sulla spiaggia: erano convinti che
quelle inquadrature non quadrassero con la nuova immagine che oggi
si vuole dare di Gaza. E io mi sono chiesta: sono matti loro o
sono i palestinesi che sono cambiati?". E ha, poi, concluso:
"Certo, però, è che noi palestinesi per i fotografi siamo stati
prima solo Fame, poi solo Terrorismo, più tardi solo Intifada...
Dobbiamo farci conoscere per come siamo davvero". E il mosaico di
esposizioni - per ora a Parigi, ma poi a Grenoble, Marsiglia,
Dunkerque... - deve servire anche a questo: a ridisegnare - anche
con le sue sfumature - la fisionomia culturale di un popolo
scomparso dalla capitale francese da più di 20 anni, quando le due
librerie palestinesi che c' erano (a rue Oberkampf e a rue des
Ecoles) chiusero i battenti dopo che Mahamoud Al-Hamshari e
Mahamoud Saleh, i due intellettuali palestinesi che le mandavano
avanti, furono assassinati. Dal 18 aprile a Parigi, con un
concerto sufi di musica sacra cominceranno i canti, i balli, il
teatro serio e quello più leggero, il cinema... E i riflettori
rimarranno accesi per mesi su decine e decine di iniziative. E
sarà davvero primavera. Netanyhau e terroristi permettendo: per
domani, giù in Palestina, si prevedono nuovi scontri.
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