Gli Optional
A.A.A.Altri articoli di produzione propria

TESTATA:
REPUBBLICA
DATA:
19/04/2001
PAGINA:
46
SEZIONE:
CULTURA
OCCHIELLO:
Così il fascismo ne cancellò le origini
TITOLO:
ETRUSCHI
SOMMARIO:
L' esposizione di Venezia accredita ancora l' idea di un popolo
autoctono, italico. Bologna ci rivela invece le radici
mediorientali All' estero invece gli studiosi hanno sempre capito
i loro legami con l' Oriente. Interessava stabilire "la purissima
parentela di sangue che univa gli italiani da millenni" È negli
anni delle Leggi razziali che si volle vedere questa civiltà come indigena
AUTORE:
sergio frau
TESTO:
Venezia-Bologna
Il conto alla rovescia è già iniziato: meno 4!
Fossero, invece che due mostre - quella "superstar" di Palazzo
Grassi, a Venezia, e quest' altra bellissima all' Archeologico di
Bologna che chiude domenica, alle 19 - due astronavi, tutto
sarebbe più facile: si guarderebbero i tesori che contengono; se
ne studierebbero le affinità con altre culture del Mediterraneo;
ci si accorgerebbe - candidamente, scientificamente - che cento
oggetti sono stati ritrovati - pressocché identici a questi - in
Anatolia, in Siria, in Mesopotamia... Si confronterebbero poi, al
solito, i reperti con le fonti, per finire con l' accorgersi che
la stragrande maggioranza degli autori antichi indicano una
provenienza orientale degli Etruschi. E, a quel punto, se ne
tirerebbero le somme: gli Etruschi? Un popolo arrivato dall'
Oriente con le grandi migrazioni del Età del Ferro - nel IX,VIII
secolo a.C. - a far levitare a dismisura la cultura
italica-villanoviana con cui avevano grandi affinità.
Invece così
non è: a Venezia gli Etruschi, con tutti i loro capolavori, sono
un popolo autoctono, italico. A Bologna, invece no: con
altrettante meraviglie sembrano appena sbarcati da chissà quale
corte mediorientale.
Questione di regia, certo... Di fatto, due
scuole a confronto.
Sarà, pure, una coincidenza ma gli Etruschi
continuarono ad arrivare in Italia dall' Oriente per quasi due
millenni e mezzo: fino al 1939 almeno, primo compleanno delle
Leggi Razziali. Volute dal Fascismo, vergogna copiata dalla
Germania di Hitler, quelle leggi tutte nostrane, per la prima
volta nella storia dello Stato italiano nato dal Risorgimento,
introdussero agghiaccianti discriminazioni legate al concetto di
razza.
Intendiamoci: non che Mussolini, a quel punto speronasse le
navi etrusche al limite delle acque territoriali... Fu però,
proprio a cominciare da allora, a ridosso di quella data
preannuncio di guerra, che un giovane studioso italiano, Massimo
Pallottino, classe 1909, estrasse dalla ventina di fonti antiche
che parlano dell' origine degli Etruschi, Dionigi di Alicarnasso,
l' unico autore che sosteneva una nascita autoctona e italica
della Civiltà etrusca non attribuendola all' Oriente, come fanno
invece Erodoto & C., da quel momento in poi, su questo punto
trasformati in testimoni deboli o inattendibili o confusi.
E sì,
c' erano dei passi di Dionigi inequivocabili: un popolo, quello
etrusco secondo lui, " non venuto da fuori, ma indigeno".
Il
giovane studioso scelse proprio quelli, tra tutti gli altri:
nominò Dionigi fondatore della questione etrusca e decise che
nell' antichità "prima di lui le opinioni sulle origini etrusche
non avevano, a quanto sembra, carattere scientifico".
Non solo:
dopo che per tutto l' Ottocento e il primo Novecento, gli studiosi
di storia antica si erano sforzati di riannodare - attraverso
fonti, reperti, decori, architetture - i fili che legavano strette
strette le rocche di Toscana, Umbria, Padania alle terre lontane
di Mesopotamia e Anatolia, Pallottino sentenziò: la ricerca delle
origini? " Una sterile palestra di tesi preconcette", un falso
problema. E invitò a smetterla con quella caccia alle origini: "L'
impronta subìta dalla fresca, primitiva, ancora duttile anima
protoetrusca - sotto l' impulso ed il fascino delle mature civiltà
d' oltremare - fu probabilmente tale da orientare in modo
definitivo le tendenze spirituali della nazione, giustificando l'
impressione di strette affinità etniche con il mondo orientale".
Da qui l' indicazione: concentriamoci piuttosto sulla loro civiltà
qui da noi; vediamo di preciso come e quanto somigliano agli
italici che li hanno preceduti...
Erano stati anche anni di
Etruscomania quelli, con gli antichi principi di Tarquinia e Vulci
a far la parte di extraterrestri a cui attribuire mille eccessi,
mille stranezze e cento depravazioni. Così quando Pallottino diede
alle stampe il suo Etruscologia (prima edizione 1942) dove metteva
nero su bianco la sua impostazione, il libro piacque assai: non
solo piacque a Mussolini( a cui la collana Hoepli che lo pubblicò,
era dedicata), ma piacque anche agli studiosi più seri stufi di
sentir le fantasticherie di tutti coloro che, drogati di fonti
classiche, fantasticavano visionari sulle età buie dell' umanità.
Scrisse Pallottino: "Con il condurre avanti discussioni spesso
sterili e interminabili sulla questione delle origini etrusche,
gli studiosi di storia antica e gli etruscologi hanno generalmente
perduto di mira temi assai più attraenti e proficui, attraverso i
quali era possibile sottolineare glorie e priorità dell' antica
civiltà italiana". E per tutti quegli indizi che rimandavano a
Oriente? "Non significa che la civiltà dell' Etruria antica debba
esser riportata esclusivamente a germi stranieri: e tanto meno che
il complesso nazionale etrusco debba essere straniato dall'
ambiente razziale, linguistico e culturale dell' Italia
antica".
Insomma: dopo 25 secoli da Erodoto gli Etruschi erano
finalmente - culturalmente e razzialmente - roba nostra, italiani
al cento per cento!
Sarà una coincidenza che le date coincidano?
Giusto l' anno prima Razza e Civiltà, il mensile della Direzione
generale per la Demografia e la Razza, nel suo numero
maggio-luglio, aveva pubblicato - a proposito di alcune
elucubrazioni del duce sulla razza "ario-romana" (!) da lui
individuata come "super razza della nazione italiana" - un diktat
chiarissimo: "In argomento (Razza e razzismo, ndr) bisogna
attenersi all' orientamento che deriva dalla dichiarazione degli
studiosi fascisti docenti nelle Università italiane, che
costituisce il documento fondamentale del razzismo italiano (Nota
bene: qui il termine, ovviamente, non ha ancora quella valenza
negativa e ripugnante che oggi qualsiasi persona civile gli
attribuisce, ndr). Al punto 4º vi si dice che la popolazione dell'
Italia attuale è di origine ariana e la sua civiltà è ariana. Si
afferma al punto 6º che esiste ormai una pura razza italiana:
questo enunciato non è basato sulla confusione del concetto di
razza con il concetto storico linguistico di popolo e di nazione,
ma sulla purissima parentela di sangue che unisce gli italiani di
oggi alle generazioni che da millenni popolano l' Italia. Questa
antica purezza di sangue è il più grande titolo di nobiltà della
Nazione italiana. La popolazione italiana è dunque di origine
ariana e di razza italiana. Comunque, di razza italiana hanno
parlato vari studiosi del problema, e negli stessi discorsi del
Duce ricorre tale espressione. In conclusione: si deve parlare di
Razza italiana o italica ricorrendo alla espressione "origine
ariana" solo per distinguere nettamente gli italiani dai
semiti".
E poco più in là, l' avvertimento: "Lo stesso Duce, nel
recentissimo discorso del 10 giugno XIX (1941, ndr) alla Camera
dei Fasci e delle Corporazioni, afferma che "gli Stati devono
tendere a realizzare il massimo della loro unicità etnica e
spirituale, in modo da far coincidere a un certo punto i tre
elementi razza, nazione, Stato!"".
Il testo - firmato da Lorenzo
La Via e titolato Sintesi del concetto di razza nella dottrina e
nel nostro diritto pubblico - prosegue entrando poi nel dettaglio
delle vergognose normative discriminatorie verso gli Ebrei, per
chiudersi con riflessioni che di fatto sono, però, degli ordini,
altrettante linee guida. Tipo: "La civiltà, prodotta e propagata
originariamente da una razza o da un popolo politicamente
organizzato, ha un valore autonomo, che supera nel tempo e nello
spazio la vita stessa della comunità che l' ha generata". Ma
anche, in apoteosi finale: "L' idea di una razza purificata e
difesa nel suo sangue (...) diventa facilmente, non solo per la
massa amorfa ma per l' intera comunità nazionale, credenza e mito,
nel fervore dei quali i complicati e incerti problemi della
bio-sociologia non trovano posto o perdono tutto il loro
rilievo...".
A questo punto, però - guardando indietro, oggi, 60
anni dopo - il vero enigma etrusco diventa Massimo Pallottino,
gran sacerdote dell' etruscologia fino al 1995, anno della sua
morte. Fu condizionato il grande etruscologo, appena uscito dall'
allestimento della Mostra augustea della Romanità a cui aveva
collaborato con il fascistissimo Giglioli, da questi diktat
diffusi nell' aria già da qualche anno e ribaditi perentoriamente
proprio mentre stava dando gli ultimi ritocchi al suo
Etruscologia, in cui sostanzialmente ripete gli stessi concetti?
E
anche: come e perché un ricercatore sceglie la via della non
ricerca? O fu, il suo, solo quieto vivere? O, piuttosto,
consapevolezza: sbandierare a quell' Italia "ario-romana", tutta
percorsa da passi dell' oca, fasci littori, saluti romani, nonché
fremiti patriottici e razziali, che l' alfabeto etrusco (come, del
resto, quello greco e quello nostrano odierno) ci arrivava - e con
le sole vocali in più - da quello dei Fenicio-Cananei allora -
come oggi - archiviati tra i Semiti, poteva davvero essere utile
agli studi, agli scavi, alla carriera? O fu una provvida scelta
quella di applicarsi concentrato sulle mille sorprese che quei
suoi Etruschi d' Italia, diversi da tutti ma nostrani, potevano
regalargli pressocché in esclusiva visto che poi - di lì a poco,
finita la guerra - la prima cattedra di etruscologia fu la sua? E
insistere, invece, sul fatto che mezza Italia era mezza turca,
dove l' avrebbe portato?
Fattostà che, comunque, quella sua scelta
di amputare ogni radice etrusca che dirazzasse oltreconfine,
funzionò a tal punto che, ancor oggi, gran parte della scuola
italiana la pensa così, e che la mostra veneziana - curata con
perizia da Mario Torelli, pallottiniano doc - questo ripete, con
la sua regia.
Certo, all' estero, continuarono tranquillamente a
pensarla invece a modo loro. Così - mentre chi in Italia si
azzardava a riproporre quell' ormai "obsoleto, stantio, datato
falso problema delle Origini" veniva scemizzato, emarginato o
tacciato di eresia - studiosi stranieri (in Francia soprattutto)
hanno proseguito negli studi a orientarsi verso Oriente. Un
francese per tutti. Anzi due. Anzi tre. André Piganiol al quale
Jacques Heurgon dedicò il suo splendido Mediterraneo Occidentale,
dalla preistoria a Roma arcaica (edito in Italia da Laterza).
Scrisse Piganiol, nel 1953, in un suo articolo rimasto famoso,
"Les Etrusques, peuple d' Orient": "L' Etruria? Un frammento di
Babilonia in Italia" allegando fonti, foto e prove a questa bella
frase che sintetizzava le sue ricerche, portate avanti oggi da
Dominique Briquel.
Così, da mezzo secolo, convivono due modi
differenti di guardare e interpretare il miracolo etrusco: un
fenomeno autarchico, all' italiana (come propone la mostra di
Palazzo Grassi); ma anche, piuttosto, una civiltà creata dalle
commistioni e trasmigrazioni di popoli, alla francese, insomma
(come viene in mente visitando Bologna). Fino al 22 aprile c' è
tempo per confrontare queste due impostazioni.

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